domenica 10 aprile 2011

Le due Italie del lavoro che non si parlano



Orgoglio Precario è il titolo della trasmissione Ominibus in onda stamattina su La7 dove vari esponenti della cultura e dell'economia commentano la giornata di protesta in piazza a Roma. Alla TV ne dicono delle belle, con la solita italica tendenza a difendere la propria corporazione.
L'evento ha avuto qualche risonanza sulla stampa italiana. Mi è piaciuto l'intervento equilibrato e schietto (clicca qui) di Enrico Deaglio su La Stampa: invito la lettura.
Intanto ecco l'incipit:
Una manifestazione nazionale dei lavoratori precari, come quella di ieri, articolata in varie fasi e in varie città, sarebbe stata impensabile anche solo un anno fa e rappresenta un importante sviluppo economico-sociale.
I precari, infatti, tradizionalmente sono cani sciolti, con diversissime storie personali, ai quali la continua mobilità rende comunque difficile, in via normale, un’azione comune. Assunti a termine, pagati, di solito non molto, e poi arrivederci e grazie. Una simile situazione può anche essere accettabile se esiste una sorta di patto implicito in base al quale questi spezzoni di lavoro, a termine o a tempo parziale, si possono trasformare in un lavoro vero entro un ragionevole intervallo di tempo. In questo caso l’attività precaria può costituire una sorta di apprendistato, anomalo ma in grado di insegnare una professione; non è invece possibile restare apprendisti - o precari - per tutta la vita.
Con la crisi economica la durata del precariato si è allungata, la sua natura è cambiata. I precari, in grande maggioranza giovani, diventano lavoratori-cuscinetto che assorbono direttamente i colpi della crisi e quindi, implicitamente, forniscono un riparo ai lavori più sicuri degli altri. Il caso più evidente è quello dell’Alitalia quando per i dipendenti a tempo indeterminato si negoziò una lunghissima, e quindi privilegiata, cassa integrazione, mentre i precari rimasero sostanzialmente a bocca asciutta. Per questo il rapporto con il sindacato è molto difficile anche se la Cgil, che ha appoggiato le manifestazioni di ieri, fa di tutto per ricucire uno strappo generazionale. Non basta però, rendere più difficile il licenziamento, come appunto la Cgil propone, occorre rendere più facili le assunzioni a tempo indeterminato. E questo si può fare soltanto cercando di imboccare a tutti i costi un sentiero di crescita, un argomento di cui il Paese, apparentemente troppo occupato con il teatrino della politica, con gli insulti tra parlamentari e le barzellette sconce del presidente del Consiglio, si dimentica allegramente.
Segnalo inoltre la riflessione di Andrea Sarubbi sul suo blog (clicca qui), laddove dice, a partire da una riflessione di Enzo Bianchi, priore di Bose, sulla radice comune delle parole Preghiera e Precario, che c'è una generazione che non può strutturalmente fare scelte decise (e decisive) sulla loro vita:
Oggi, invece, la categoria del “per sempre” è scomparsa, sostituita da quella del “finché dura”: vale per le relazioni di coppia, con il calo dei matrimoni e l’aumento delle convivenze; vale per il mercato immobiliare, con il calo delle compravendite e l’aumento degli affitti; vale per gli stili di vita, perché quando mancano prospettive di lungo termine prevale spesso la voglia di godersi l’attimo anziché quella di investire sul dopo. 

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