domenica 6 novembre 2011

il cazzotto ai politicanti

Intendo qui celebrare il cazzotto. Il vecchio, caro, sano cazzotto. Come quello che un abitante di Aulla, che stava cercando di spalar via i detriti lasciati dall'alluvione, ha sferrato a Michele Lecchini, consigliere comunale (leghista) a Pontremoli, il quale si era imprudentemente sporto dal finestrino di una delle tante auto blu che procedevano incolonnate nella zona del disastro. Probabilmente lo sfortunato Lecchini non aveva alcuna responsabilità nelle devastanti conseguenze dell'alluvione, ma quel pugno, un diretto destro che ha colpito il consigliere a un occhio, è emblematico dell'insofferenza e dell'esasperazione che sta montando contro la classe politica e dirigente italiana.

Nella foto: Michele Lecchini consigliere comunale della Lega Nord, a Pontremoli, raggiunto da un pugno e da un grumo di fango a un occhio. Era in auto con il sindaco durante la contestazione ad Aulla. La foto è stata scattata da uno degli occupanti dell'auto appena dopo l'aggressione.

L'improvvisato pugile non era infatti un “anarco insurrezionalista”, un black bloc, un militante di un qualche gruppuscolo eversivo. Era un comune cittadino. Come comuni cittadini erano quelli che hanno preso a palate di fango il convoglio di auto blu (centrata in pieno Lucia Baracchini, sindaco di Pontremoli) e poi hanno cominciato a scuoterle gridando “vergogna!”. Come un comune cittadino era quella signora che ha urlato “assassino” al sindaco di Aulla, Roberto Simoncini, e poi è scoppiata in lacrime.

Suppongo che il ministro del Welfare Maurizio Sacconi, se leggerà queste righe, mi bollerà come “cattivo maestro”, fomentatore di violenza e di possibile terrorismo. Io credo il contrario. Il cazzotto è uno sfogo salutare, e sostanzialmente innocuo, dell'aggressività vitale che alberga in ognuno di noi. A furia di comprimerla questa aggressività, in una società ammalata di buone maniere (si veda Carnage, il film di Roman Polanski), si accumula e finisce per esplodere improvvisamente nelle forme più brutali, per esempio nei “delitti delle villette a schiera” come li ha chiamati Guido Ceronetti.

Negli anni Cinquanta ci scazzottavamo tutti. Ci si scazzottava fra ragazzini, divisi per bande di quartiere (è molto improbabile che bambini di undici, dodici, tredici anni si facciano sul serio male, il peggio che poteva capitare era di tornare a casa con un occhio nero, come Lecchini, e prendere, per sopramercato, due sacrosante cinghiate da tuo padre). Ma ci si scazzottava anche fra adulti. Allo stadio, dove nessuno si sognava di andare con spranghe e catene, e fuori dal bar, in genere per questioni di ragazze. Ma quella violenza, diciamo così, primigenia, elementare, naturale, non è mai sfociata in nulla di più grave. Il terrorismo era di là da venire. Sarebbe comparso una quindicina di anni dopo quando i figli dei borghesi, che non avevano preso le giuste nerbate dai padri, i quali erano al contrario orgogliosi di quei loro pargoli tanto “rivoluzionari”, cominciarono a girare in massa per le strade gridando “Fascisti, borghesi, ancora pochi mesi”, “Fascista, basco nero, il tuo posto è al cimitero”, “Uccidere un fascista non è reato” e qualcuno (non loro, i figli di papà che di giorno giocavano a spaccare le vetrine, e magari anche qualche testa, e di sera, tornati a casa, si attaccavano al telefono: “Pronto, Leonetta?”, “Pronto, Dadi?” che non sono esattamente nomi proletari) prese sul serio quegli slogan.

Il cazzotto insomma è, a suo modo, leale. Sleale, viscida e subdolamente violenta è invece l'evocazione che il ministro Sacconi, sottoposto ad aspre critiche per le sue misure sui licenziamenti (che personalmente, sia detto di passata e per quel che vale, condivido), ha fatto del terrorismo. È una forma di intimidazione che abbiamo visto praticare già tante volte dalla classe politica quando si trova in difficoltà. Un ricatto morale ignobile e inaccettabile che tende a zittire ogni critica addossando a chi la fa la responsabilità dell'eventuale atto criminale di qualche sciagurato che se ne faccia suggestionare (a evocare una cosa inesistente si rischia di materializzarla, come negli esorcismi). Ha detto, con grande lucidità, Pietro Ichino: “Non si può evocare il pericolo di violenza politica per comprimere il dibattito o peggio per accollare a chi dissente la responsabilità oggettiva di eventuali aggressioni commessa da altri”.

Purtroppo gli Ichino sono rara avis e i Sacconi, e i molto peggio di Sacconi, la regola di una classe politica, a tutti i livelli, di incapaci, di inefficienti, di parassiti, di schifosamente privilegiati, quando non di truffatori, di ladri e di delinquenti, che ci logorano quotidianamente i nervi comparendo ogni giorno, con i loro mascheroni da Halloween o da commedia dell'Arte, per dimostrarsi, al momento del dunque, per quel che sono: delle nullità. Con costoro il massimo che possiamo permetterci, in democrazia, è un cazzotto. Ma è anche il minimo.

Massimo Fini
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it
2.11.2011

martedì 1 novembre 2011

Finis Italiae: dopo il diktat economico dell’Ue svendita totale dello Stato sociale

Quello che era iniziato nell’incontro sul panfilo reale Britannia nel 1992, presenti esponenti di spicco della finanza anglosassone e quel Mario Draghi ora alla BCE, la svendita dell’Italia e del suo patrimonio economico, si sta completando proprio in questi giorni.

Che l’Italia sia un Paese, nazione nel senso classico non si può definire da tempo, senza sovranità si è visto anche con la vicenda libica. Ora con la lettera di Berlusconi all‘Ue ogni dubbio è stato spazzato via definitivamente, il governo della “repubblica delle banane italiana” si è piegato senza battere ciglio a chi gli chiedeva di spazzare via in nome dell’euro e della stabilità finanziaria, ogni residuo di Stato sociale e di tutela per i suoi cittadini, nonché aprire la strada al capitale straniero.

Le misure che saranno prese in Italia, non era bastata evidentemente la recente manovra finanziaria, sono in linea con quelle che si sono già abbattute sulla Grecia e in passato su tutti coloro che sono finiti nelle maglie del sistema usurocratico imposto dal Fmi, Banca Mondiale, Bce e ora Unione Europea.

Sarkozy e la Merkel, Barroso e Van Rompuy hanno fatto la faccia feroce, ...

... e prima di loro i boiardi Draghi e Trischet, forti anche del sostegno in Italia di quel Napolitano che si può oramai considerare tranquillamente la quinta colonna delle oligarchie mondialiste.

Gli italiani, la cui sensibilità nazionale dopo il 1945 è stata semplicemente lavata, non hanno ancora appieno capito la gravità delle misure intraprese da questo governo e non basta la lettera di Berlusconi sul “Il Foglio” di domenica 30 novembre a tranquillizzarci, semmai è solo una conferma di quanto avvenuto e che accadrà nel prossimo futuro.

Un‘attenta lettura della relazione del Presidente del Consiglio fatta all’Ue apre scenari a dir poco inquietanti.

Si parla di debito pubblico, senza specificare verso chi, una storia che si trascina da tempo e in nome della quale ogni sacrificio dovrebbe essere giustificato, peccato che esso non sia altro che il debito che lo Stato italiano ha contratto con la banca privata d’emissione della moneta e con i relativi interessi passivi che crescono di anno in anno sui titoli di debito pubblico, in una spirale a salire senza fine. E’ pura fantasia pensare che possa essere ripianato, è la stessa situazione in cui viene a trovarsi chi incappa nelle maglie di uno strozzino, e la Banca d’Italia, la Bce e il Fmi, non sono altro che strozzini legalizzati che esautorano gli Stati dalle loro funzioni istituzionali, facendo da apripista agli speculatori internazionali che così potranno fare man bassa d’industrie, banche e servizi.

Le autentiche perle con le quali si vorrebbe far ripartire l’economia italiana, sono le stesse applicate in passato in America Latina, in Africa,in Asia, dove hanno portato solo miseria per i più e ricchezza per pochi oligarchi.

Privatizzazioni in primis, qui l’obiettivo è quello non dichiarato di distruggere completamente il “sistema Italia” e ridimensionare ancor di più la forza economica nazionale. Con la scusa della libera concorrenza, lo Stato e gli Enti Pubblici dovrebbero mettere sul mercato beni e servizi in nome di quella libera concorrenza sempre osannata ma utopica perché alla fine prevale sempre la legge del più forte che saprà imporre le sue regole a detrimento degli interessi collettivi, gli stessi che sono alla base del servizio pubblico che deve operare non a scopo di lucro. Una volta messe sul piatto è facile intuire nelle mani di chi finirebbero, che sono poi gli stessi che reggono le fila delle grandi banche d’affari anglo-americane, una vera e propria espropriazione del nostro patrimonio economico. Va ricordato che in passato i governi Ciampi e Prodi, quest’ultimo uomo Goldman Sachs, avevano già provveduto a svendere interi settori strategici.

Non poteva mancare poi il solito richiamo al “dinamismo delle aziende”, da attuarsi nell’arco di quattro mesi, che tradotto significa libertà di licenziamento, come se l’insicurezza del posto di lavoro fosse il volano per accrescere il benessere della popolazione. Questo per la gioia del ministro del Welfare, mai nome fu più inappropriato, Maurizio Sacconi, il falco liberal che in totale malafede crede che maggiore occupazione faccia rima con facilità di licenziamento. Il ministro evidentemente dimentico dei suoi trascorsi socialisti, e senza alcuna dignità nazionale, rilancia e ripete pappagallescamente quello che l’Ue ha imposto, con un accenno al “pericolo terrorismo”, che funziona sempre quando si vuole criminalizzare eventuali proteste. Sacconi ha spiegato poi “che si potrebbe sospendere l’applicazione dell’Art 18 dal sedicesimo assunto in poi nelle aziende con meno di quindici dipendenti e nelle quali oggi non si applica la Legge 300/70”, e di “trovare interessanti le proposte del senatore del centro sinistra Ichino in modo da stabilire regole più flessibili per chi sarebbe costretto a uscire dal mondo del lavoro”. Più bipartisan di così…

Nulla di nuovo sotto il sole, i peggiori italiani sono spesso stati al governo e lo sono tuttora in Parlamento e non da oggi. Ci basta sentire le risibili dichiarazioni di un Bersani che dovrebbe rappresentare l’opposizione, che non trova di meglio che incolpare l’attuale governo e difendere l’euro e l’Europa delle banche, il solito gioco al massacro dei tutti contro tutto che caratterizza la pochezza della classe politica italiana di oggi, la quale non ha alcuna visione strategica nel medio e lungo termine e non ha neppure vagamente l’idea di cosa siano gli interessi nazionali.

A queste azioni seguiranno tutta una serie di riforme del mercato del lavoro, che è inevitabile intuire che andranno oltre ai già nefasti effetti della Legge Biagi. La sola parola “efficientamento” del lavoro dovrebbe far riflettere. Entro il 2011 il Governo s’impegna a favorire l’occupazione dei giovani, con contratti di apprendistato e a tempo parziale, tutte cose già viste e che non hanno risolto nulla, mentre entro maggio 2012 sarà varata una “riforma della legislazione del lavoro funzionale alla maggiore propensione ad assumere e a licenziare”. Questa se approvata sarà il definitivo canto del cigno dei contratti a tempo indeterminato e la messa in soffitta dell’Art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, e con esso la sicurezza di un posto di lavoro su cui costruire il proprio futuro e quello della propria famiglia. Già adesso con la “somministrazione di lavoro”, vero e proprio caporalato legalizzato, i tempi determinati più o meno lunghi, si è creata una generazione di giovani precari, che arrivano alla soglia dei trenta anni non sapendo neppure che cosa avverrà domani del proprio contratto, una navigazione a vista che si sta ripercuotendo sull’intero sistema sociale italiano. Meno sicurezza, si traduce in meno nuclei famigliari, e quindi meno figli e di conseguenza un calo demografico in costante crescita, così qualcuno potrà dire che vi sono più pensionati e meno forza lavoro.

La scure liberista si abbatte anche sugli orari di lavoro, che negli esercizi commerciali saranno “liberalizzati”, in poche parole potremmo avere come nella patria per eccellenza del capitalismo selvaggio, gli Stati Uniti, i negozi aperti anche la sera, i supermercati, i centri commerciali, che però non risolveranno un bel niente, ma favoriranno solo uno sfrenato consumismo, distruggendo quel poco che è rimasto di coesione sociale. Forse e senza il forse è proprio quello uno degli obiettivi che si prefiggono gli gnomi dell’alta finanza, un popolo d’inebetiti consumatori senza radici in tanti quartieri dormitorio. Certo qualcuno sarà felice di poter comprare l’ultimo modello di I Pod anche alle 11 di sera, dimenticando che dall’altra parte del bancone vi sarà sempre una persona costretta a trascurare la propria vita sociale, un alieno che non saprà più distinguere i giorni feriali da quelli festivi, un tutto uguale senza fine né inizio.

Negli altri punti della lettera di capitolazione nazionale, non poteva mancare la Pubblica Amministrazione, da sempre considerata parassitaria da chi si crogiola nel mito del “laissez faire liberista”, meno Stato e più privato è il loro slogan. Sarà istituita la mobilità obbligatoria, sarà introdotta la Cassa Integrazione Guadagni che vorrà dire riduzione salariale, poi diminuzione del personale e blocco ovviamente dell’avvicendamento. Invece di colpire chi non fa il proprio dovere, basterebbe l’esempio dei tanti Prefetti incapaci che circolano in Italia o lo stuolo dei magistrati inetti, e migliorare invece il servizio al cittadino, ridando senso dello Stato e dignità a chi lavora per esso, si preferisce applicare le ricette che i cosiddetti “mercati” vogliono.

Poi l’affondo sulle pensioni, com’era prevedibile, da sempre nel mirino di tutte le politiche neoliberiste, nonostante il bilancio dell’Inps, ente previdenziale nazionale, sia in attivo e non presenti problemi, ma l’Europa vuole che i lavoratori escano solo a 67 anni, una vita di lavoro se pensiamo bene che non ha giustificazioni se non quella di ottenere risparmi tramite il sistema previdenziale da dirottare poi a sostegno dei soliti noti di Francoforte e Bruxelles, un sacrificio in più per salvare le banche e l’euro.

Immaginiamo lo scenario con persone ridotte a lavorare con acciacchi di vario genere, demotivati dopo una vita passata dietro una scrivania o in fabbrica, mentre i loro figli sono costretti ad arrancare in cerca di un’occupazione stabile, e i padri invece costretti a non lasciare il posto di lavoro.

Hanno scippato il Tfr con la creazione dei fondi pensione privati, introdotto il sistema di calcolo contributivo al posto di quello retributivo, e ora vogliono farci morire sul posto di lavoro solo perché le statistiche dicono che le attese di vita sono aumentate. Si è vero si campa più a lungo, ma come e dove non è certo sicuro, le malattie esistono ancora e le case di riposo sono piene di gente che vegeta e non vive realmente. L’ideologia che privilegia la produzione, il profitto a tutto il resto, disprezza da sempre chi vuole tempo per pensare, chi cerca nella socialità, nella cultura, nell’arte un completamento del proprio vivere, perditempo sono considerati, del resto una testa pensante può creare grattacapi quindi è meglio stroncare l’individuo a forza di lavoro

La resa italiana è totale come si può ben vedere. Si parla di cinque miliardi annui che renderebbero i beni immobili dello Stato da cedere, così che altri pezzi dell’argenteria di famiglia finiranno nella mani di privati e non certo italiani.

Quella che è la ricchezza e la storia di una Nazione, costruita con il sacrificio d’intere generazioni, sarà ceduta come si fa con gli immobili di un’azienda che fallisce.

Federico Dal Cortivo
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