martedì 31 maggio 2011

Petizione Una targa per Renatone

Petizione Una targa per Renatone

Personalmente invito a firmare la petizione.
Il PD non lo so. Avrà altro da fare...

La magia perduta del Cavaliere

Affido al direttore de LA STAMPA, Mario Calabresi, il commento nazionale del voto di ieri a Milano e Napoli (e Trieste e Cagliari e....). 
Fonte: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8800&ID_sezione=&sezione=



E’ un leader radioattivo: il soggetto è Silvio Berlusconi, la battuta politicamente scorretta è stata pronunciata al termine del G8 da un uomo di primo piano dell’amministrazione americana che viaggiava con Barack Obama. Una battuta utile a capire il disagio di molti leader stranieri di fronte a un presidente del Consiglio che li assillava con il suo incubo dei complotti giudiziari. Una battuta che può servire oggi per comprendere la fuga degli elettori dai candidati sponsorizzati dal Cavaliere.

Il voto di ieri segnala un vento fortissimo di cambiamento che, in modo molto più incisivo che nel primo turno, ha travalicato il valore amministrativo di queste elezioni.

Un vento che ci racconta come Silvio Berlusconi abbia perso la sua sintonia con la maggioranza degli italiani, con la pancia del Paese. Il premier, fin dai tempi della nascita delle televisioni private, è sempre stato un perfetto interprete degli umori e dei desideri degli italiani: li sapeva anticipare e cavalcare con un tempismo perfetto. Berlusconi ha promesso ai cittadini, consumatori prima e elettori poi, di soddisfare ogni loro desiderio, di garantire ogni loro libertà. Oggi questo meccanismo creatore di consenso appare rotto e non per colpa di qualche inchiesta giudiziaria, ma perché il Cavaliere non è riuscito a capire cosa passa in questi giorni nella testa e nella vita degli italiani.

In tempi di crisi, di difficoltà, di risparmi che si assottigliano e di giovani che non trovano lavoro, non si può pensare che il tema della separazione delle carriere o la riforma della Corte Costituzionale scaldino i cuori e riempiano le urne. E dire che Berlusconi lo sapeva bene: per anni ha promesso di non mettere le mani in tasca agli italiani e di abbassare le tasse, ora invece si era convinto che la maggioranza dei suoi concittadini fosse indignata come lui con la magistratura e la sinistra.

Così hanno vinto candidati nuovi e imprevedibili, candidati che sulla carta non avrebbero dovuto avere alcuna possibilità: troppo radicali, troppo di sinistra o anche troppo giovani e inesperti. Ma soprattutto hanno perso le forze di governo, perfino nelle roccaforti del Nord, dove si contava sulla tenuta di una Lega fino a pochi mesi fa in ascesa.

Come è potuto accadere? Per anni Berlusconi ha proposto una sua visione per il Paese mentre i suoi avversari hanno sempre reagito costruendo campagne contro di lui e demonizzandolo. Questa volta i ruoli si sono invertiti: a giocare contro è stato lui, da mesi assistiamo a campagne politiche e giornalistiche in cui gli avversari vengono trasformati in caricature e fatti a pezzi. Da questo punto di vista il trattamento riservato a Pisapia è da manuale, è stato dipinto come il leader degli zingari, dei rom e degli estremisti islamici, una campagna di una tale rozzezza da aver allontanato la maggioranza dei milanesi dal candidato sindaco del centrodestra. Una campagna così poco «positiva» da aver spaventato perfino i moderati, che cinque anni fa avevano garantito la vittoria a Letizia Moratti. E dire che per perdere Milano ci voleva davvero impegno: è stato fatto un capolavoro.

Si può pensare di essere credibili se si tappezza una città con manifesti che strillano: «La sinistra vuole i vigili solo per le multe, non per la sicurezza» o con la minaccia di vedere Milano trasformata in «Zingaropoli»? Era una campagna talmente grottesca da prestarsi a mille parodie che hanno spopolato su Internet. Il migliore spot per Pisapia sono state proprio le caricature fatte su di lui: i filmati e le canzoni che lo dipingevano ancora più estremista dei manifesti leghisti o berlusconiani.

L’errore finale, incomprensibile, è stato poi quello di andare dal Presidente degli Stati Uniti a parlargli dei suoi problemi giudiziari, a insultare un corpo dello Stato italiano. Pensate se il nostro premier, dopo aver chiamato i fotografi ed essersi messo in favore di telecamera, avesse strappato a Barack Obama un impegno sulla Libia per frenare il flusso di clandestini. Il suo gradimento non avrebbe che potuto giovarsene. Invece ha scelto di inseguire la sua ossessione.

Cosa succederà adesso è difficile da prevedere, certamente si è messa in moto una valanga dagli esiti imprevedibili. Potrebbe metterci un giorno, un mese o anche due anni ad arrivare a fondovalle e Berlusconi è persona resistente, tenace, capace di reinventarsi continuamente e che combatte fino all’ultimo. Ma il vero dato di ieri è l’incapacità di leggere cosa passa nella testa, nella pancia e nel cuore degli elettori. E quando un politico smarrisce questo fiuto e questa dote allora per lui suona la campana dell’ultimo giro.

lunedì 30 maggio 2011

NONSOLOPISAPIA!

DANIELA FRULLANI 
SINDACO DI SANSEPOLCRO





IL PD DI SAN GIUSTINO 
SI FELICITA E SI CONGRATULA 
con l'illustre ex prima cittadina



Fonte: http://www.umbrialeft.it

Terzo mandato da sindaco ma in due centri diversi, uno umbro e l'altro toscano. Daniela Frullani, 55 anni, insegnante, e' il nuovo sindaco di Sansepolcro dopo essere stata per dieci anni, dal 1994 al 2004 primo cittadino di San Giustino Umbro.
La Frullani, sostenuta da Pd, Psi e Liste Civiche, ha battuto il candidato del centro destra Fabrizio Innocenti conquistando il 57,10 per cento dei consensi.
Daniela Frullani e' reduce dall'esperienza in provincia a Perugia dove ha ricoperto dapprima l'incarico di Presidente del Consiglio, fino al 2006, e poi e' entrata in giunta occupandosi del bilancio. E' il primo sindaco donna di Sansepolcro.
Complimenti a Daniela Frullani arrivano anche dal collega consigliere della Provincia di Perugia Maurizio Ronconi (Udc) e dal deputato umbro del Pd Walter Verini. ''Pur da sponde politiche diverse - afferma Ronconi in una nota - c'e' da congratularsi con la Frullani che ha sempre dimostrato serieta' e convinzione di impegno e che oggi sa anche riscattarsi da una emarginazione che il suo partito negli ultimi anni aveva esercitato nei suoi confronti''.
''La vittoria di Daniela Frullani a Sansepolcro e' di grande rilievo'': cosi' si e' espresso il deputato umbro Verini che ha aggiunto: ''Daniela sara' in grado di rilanciare quella citta', in collaborazione tra la Valtiberina umbra e toscana''. ''E' una vittoria dell'esperienza e insieme del rinnovamento della politica - ha concluso Verini in una nota - e sono sicuro che sapra' unire tutte le forze migliori di quella citta'''.

domenica 29 maggio 2011

Conferenza del Lavoro del Partito Democratico dell’Umbria

Tratto da Umbrialeft.


PERUGIA - “Il valore sociale del lavoro è drammaticamente decaduto. Recuperarlo, insieme al valore alto e alla funzione pratica della democrazia, è il compito della Conferenza del Lavoro”.
Così Valerio Marinelli, Coordinatori dei Dipartimenti del Pd Umbria, ha aperto i lavori del secondo giorno della Conferenza del Lavoro del Partito Democratico dell’Umbria, svoltasi a Perugia, al Plaza Hotel, alla presenza dei rappresentanti dei sindacati, delle associazioni di categoria, del mondo cooperativo.
“Dobbiamo restituire centralità alle tematiche del lavoro e dello sviluppo, con la Costituzione come faro e con pragmatismo e coerenza, per elaborare un nuovo modello di sviluppo attraverso la convergenza dei livelli di impegno”. “Dobbiamo rovesciare il paradigma e tornare a produrre benessere per produrre ricchezza, non viceversa”. E poi “scommettere sulla centralità della persona e fare di tutto per scongiurare una ripresa senza lavoro. E il Partito Democratico deve accelerare con coraggio per portare l’Umbria oltre la crisi, recuperando un concetto decisivo, quello del progresso”.
Proprio la persona è stata al centro dei lavori della Conferenza del Pd. A testimoniare che “il Lavoro per il PD è il presente dei giovani precari – secondo il Segretario Regionale Lamberto Bottini - delle donne costrette al part-time, degli imprenditori che sfidano con coraggio la crisi e i mercati mondiali, dei cassintegrati preoccupati del loro avvenire e di quello della propria famiglia, degli operai e della sicurezza nei luoghi di lavoro. D’altra parte la liberalizzazione estrema del mondo del lavoro ha visto ritmi di crescita intensi grazie all’indebitamento delle famiglie, da una caduta della cultura del lavoro a vantaggio della rendita, della finanza, del guadagno facile. La svalutazione del lavoro è stata la causa prima dell’attuale crisi, meno avvertita in quei Paesi che hanno investito e investono il politiche per la crescita, di qualità, in un welfare rinnovato, in ricerca e sviluppo, sulla qualità della Pubblica amministrazione e che hanno visto un’espansione delle produzioni e dell’occupazione”.
E allora “economia reale, lavoro reale, territorio, connessione tra impresa e territorio, per andare oltre un’economia prevalentemente finanziaria, oltre il conflitto tra lavoratori, il conflitto tra impresa e lavoro dipendente va trasformato in una nuova, salda alleanza. Così come per l’intero Paese, anche per la nostra regione pensiamo che sia necessario aprire le porte ad una primavera di sviluppo, definendo una prospettiva solidale tra tutti gli attori economici, sociali e istituzionali. Cooperare coniugando interessi particolari e obiettivi comuni è l’ingrediente di responsabilità che l’Umbria deve attivare per uscire più forte dalla crisi economica”. Giovani, donne - perché, come ricorda la portavoce delle Democratiche Anna Ascani, “con le donne si cresce di più” - e piccola impresa le priorità per lo sviluppo. Con la Conferenza “è emersa la disponibilità delle imprese, delle forze economiche e sociali ad accogliere un modo di fare politica incentrato sul coinvolgimento e la discussione”. Nella convinzione che “siamo tutti parte integrante dell’Umbria, siamo tutti a vario titolo protagonisti e responsabili della costruzione del nostro futuro; e se remiamo insieme nella stessa direzione, potremmo uscire da questa crisi dando all’Umbria nuovo ruolo e dando ai cittadini che la vivono nuove opportunità di benessere”.
“Il PD intende, dunque, mantenere aperto un percorso teso a qualificare la proposta politica per mezzo di una diffusa e intensa partecipazione – ha concluso Bottini - anima fondante della democrazia e di ogni cittadinanza. Con la Conferenza regionale del Lavoro gettiamo le basi di questo nuovo percorso”.

Padre Alex Zanotelli: la difesa dell'acqua

Padre Zanotelli parla in difesa di Sorella Acqua 
a TerraFutura, Firenze, 22 maggio 2011

IL PD DI SAN GIUSTINO INCONTRA I CITTADINI




IL PD DI SAN GIUSTINO INCONTRA I CITTADINI

Il circolo di San Giustino del Partito Democratico organizza per due settimane ben 4 incontri con i cittadini residenti nel capoluogo e nelle frazioni di Celalba e La Dogana.

L’intento di questa serie di iniziative in prossimità dei luoghi dove molti di noi abitiamo, lavoriamo, in poche parole, viviamo, è quello di incontrare, parlare, confrontarsi con tutti quei cittadini che hanno a cuore la gestione della cosa pubblica e vogliono - come noi - un paese con servizi affidabili e tariffe eque. Allo stesso tempo, poiché viviamo in un’epoca globalizzata, dobbiamo pure aver ben presente l’importante referendum di domenica 12 giugno, quando tutti noi saremo chiamati a decidere delle sorti di acqua pubblica, energia nucleare e legittimo impedimento.
Per discutere di tutto questo vi invitiamo a prendere nota e a partecipare agli incontri su:

1) “VIABILITa’”, MARTEDì 31/5, ore 21, VIA DEGLI ALFIERI, 2) “ACQUA PUBBLICA”, VENERDì 3/06, ore 21, LA DOGANA, 3) SERVIZI COMUNALI, MARTEDì 7/06, ore 21, CELALBA, 4) “ENERGIE E NUCLEARE”, VENERDì 10/6, ore 21, PIAZZA BURRI.

sabato 28 maggio 2011

"Ma siam pazzi?"


"Un paio di giaguari li abbiamo smacchiati". Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, ospite sul palco dello spettacolo di Maurizio Crozza a Milano, ha ironizzato sulla metafora che il comico genovese ha inventato per prendere in giro la sua tendenza ad usare metafore concrete ma a volte difficili da decifrare.
Bersani ha scherzato con Crozza, facendo il verso a se stesso, e i due hanno duettato sulle espressioni più comuni usate dal leader Pd.
"Uso queste metafore - ha poi spiegato Bersani - perché sono popolari e si fanno capire da tutti"; poi, concedendosi un momento di serietà, ha spiegato di essere "per la politica che si fa prendere anche in giro ma non si fa disprezzare".




venerdì 27 maggio 2011

IL PD DI SAN GIUSTINO INCONTRA I CITTADINI


VIABILITà - MARTEDì 31/5 VIA DEGLI ALFIERI
ACQUA PUBBLICA - VENERDì 3/06 LA DOGANA
SERVIZI COMUNALI - MARTEDì 7/06 CELALBA
ENERGIE E NUCLEARE - VENERDì 10/6 PIAZZA BURRI

CRISI ITALIANA, CRISI DELLA CONDIZIONE DEI GIOVANI

Il Rapporto annuale 2010 dell'Istat solleva molti motivi di preoccupazione sullo stato dell'Italia, ma quello sulla relazione dei giovani con la sfera lavorativa pare particolarmente grave. il tasso di disoccupazione dei giovani italiani è al 20,2 per cento, superiore di 3,7 punti rispetto alla media Unione Europea. Ma anche per chi lavora, le prospettive sono tutt'altro che esaltanti. E cresce la quota di chi emigra all'estero in cerca di prospettive migliori. Se la condizione giovanile è lo specchio del futuro del paese, ci aspettano tempi davvero grami.
Tra i tanti motivi di preoccupazione sullo stato dell’Italia che la recente pubblicazione del Rapporto annuale 2010 dell’Istat solleva, quello riguardante il rapporto dei giovani con la sfera lavorativa pare particolarmente grave. Lo è sia per i suoi lineamenti specifici, sia per le sue possibili implicazioni sul futuro del nostro Paese. Per meglio illustrare questo secondo punto, oltre al Rapporto, richiamerò sommariamente qualche risultato di un’ampia ricerca promossa dalla Fondazione Ermanno Gorrieri (Feg), citando l’autore delle analisi di volta in volta utilizzate, insieme a un paio d’altre fonti bibliografiche.

LA CONDIZIONE GIOVANILE NEI DATI

Cominciamo da qualche dato congiunturale fornito dal Rapporto. Al 2010, il tasso di disoccupazione dei giovani italiani in età di 15-29 anni (20,2 per cento) è risultato superiore di 3,7 punti alla media Unione Europea e più che doppio rispetto a quello dei giovani tedeschi (9,2 per cento). Inoltre la quota complessiva di giovani italiani alla ricerca di un impiego si è rivelata di oltre due volte maggiore della corrispondente quota (8,4 per cento) registrata dal complesso delle persone in età da lavoro. La situazione, se possibile, peggiora dal lato dell’occupazione. Il Rapporto mostra che tra il 2008 e il 2010 il tasso di occupazione dei giovani è declinato con un’intensità (-13,2 per cento) quasi sei volte superiore a quella media registrata per il complesso della popolazione in età di lavoro (-2,3 per cento). E questo fa sì che, in Italia, l’incidenza dei giovani con un impiego sulla pertinente popolazione (34,5 per cento) sia stato, nel 2010, di gran lunga inferiore a quella media dell’Unione (47,8 per cento).
Il problema dei giovani non si arresta, però, alle difficoltà di trovare un lavoro. Davanti ai pochi occupati si aprono, infatti, prospettive tutt’altro che esaltanti. La prima osservazione da fare in merito è che i giovani d’oggi stanno conoscendo, rispetto ai loro coetanei di quindici anni prima, una considerevole riduzione delle possibilità di raggiungere, al primo impiego, le posizioni superiori (imprenditoria, libere professioni, alta e media dirigenza) e medie (ruoli impiegatizi qualificati) della stratificazione occupazionale. Si tratta di un fenomeno di vaste dimensioni, dal quale sono colpiti anche i laureati/e e i figli e le figlie delle stesse classi superiori e medie. (Marzadro e Schizzerotto, Feg).
Considerazioni simili valgono per le relazioni contrattuali. Il Rapporto fa vedere che, nel 2010, quasi la metà (46,7 per cento) dei giovani di 15-29 anni occupati alle dipendenze era stata assunta con contratti a termine. In linea di principio, l’instabilità dei rapporti di lavoro potrebbe non essere un problema se i trattamenti economici a essi associati e gli ammortizzatori sociali previsti in caso di disoccupazione fossero adeguati a garantire un minimo di sicurezza materiale. Ma le cose non stanno affatto in questo modo. In un recente contributo riguardante i disoccupati nel Veneto è stato evidenziato che, tra i giovani fino ai 30 anni, i due terzi non soddisfano i requisiti di ammissibilità all’indennità di disoccupazione ordinaria (Anastasia et al. 2011). E il Rapporto fa vedere che al 2010 tra gli occupati del settore industriale che hanno beneficiato della cassa integrazione guadagni, meno di un decimo (7,9 per cento) era in età di 15-29 anni. Nel caso dei redditi da lavoro, poi, alcuni studi hanno mostrato come, a partire dalle generazioni nate dopo gli anni Sessanta, i salari di ingresso dei giovani, nonostante la crescita del loro livello medio di istruzione, si siano progressivamente abbassati e come questo svantaggio iniziale non sia più colmato nel prosieguo della loro storia lavorativa (Rosolia e Torrini 2007; Giorgi et al., Feg; Brandolini e D’Alessio, Feg).
Come stupirsi, dunque, se quasi un quarto (22,1 per cento) dei giovani italiani d’oggi si trova in condizione di Neet, come la definisce il Rapporto, ossia non lavorino, non ricerchino un impiego e non studino? Né particolare sorpresa desta il fatto che, malgrado i consistenti aiuti ricevuti dalle rispettive famiglie d’origine, i giovani d’oggi si sposino a età sempre più avanzate e che il lasso di tempo intercorrente tra l’inizio del primo impiego e la data del primo matrimonio si sia ormai attestato sui nove anni, di fronte a un intervallo di circa due anni registrato dai soggetti che giovani erano vent’anni or sono (Mencarini e Solera, Feg). E altrettanto comprensibile è osservare che sta crescendo la quota, non solo di ricercatori e studiosi, ma soprattutto di giovani in possesso di normali titoli di studio universitari che emigrano verso l’estero alla ricerca di relazioni di impiego, trattamenti economici e prospettive di carriera più soddisfacenti di quelle esistenti in Italia (Mocetti e Porello, Feg).
In passato si usava dire che nei giovani si potevano scorgere i destini futuri di una società. Se dovessimo prestar fede a questa massima, guardando i giovani d’oggi dovremmo dire che tempi ancor più grami dei presenti si stanno prospettando davanti al nostro povero Paese.

lavoce.info

giovedì 26 maggio 2011

il "codardo" Bonanni attacca i NO TAV: "Fascisti"

La prima volta (e credo anche l'unica) che il segretario della Cisl Raffaele Bonanni venne in Val di Susa correva l'anno 2006. Nella piccola cittadina di Bruzolo la Filca Cisl, da lui capitanata, aveva organizzato un convegno, finalizzato a spiegare quanto lavoro e ricchezza avrebbero portato in dono i treni veloci.
Nulla di troppo formale, una piccola sala convegni e accanto il praticello sul quale allignavano già belli caldi i barbecue per la braciolata, offerta agli aderenti, portati in loco con un paio di pullmann.
Alla festa gradirono partecipare, benchè non invitati, almeno un centinaio di cittadini NO TAV, con le bandiere che garrivano al vento, ma i visi sorridenti e la massima attenzione a non sporcare per terra.
Quando Bonanni si apprestò a partecipare al convivio, arrivando a bordo di una lunga auto blu di quelle acquistate con i soldi delle nostre tasse, rimase oltremodo sorpreso dell'accoglienza, ma si spaventò più di quanto fosse lecito attendersi da un omone della sua stazza. Invitato a scendere ed instaurare un dibattito civile, nela sala già pronta e allestita per l'occasione, preferì dimostrarsi un "coniglio bagnato", andò in esandescenze e senza neppure aprire il finestrino, ordinò all'autista d'invertire il senso di marcia, fuggendo con l'auto che sgommando si allontano a gran velocità.....
Al suo posto scese invece dalla propria auto il parlamentare del PDL Roberto Rosso (che era fra gli invitati) e accompagnò i cittadini NO TAV nella sala, dove s'intrattenne con loro per oltre un'ora in una fitta discussione che rimase sempre civile, senza che accadessero incidenti di sorta, tanto che al di là delle posizioni comprensibilmente differenti, alla fine lui stesso si complimentò per il grado di preparazione e la grande civiltà dimostrata da coloro che gli erano stati descritti come pericolosi facinorosi.

Oggi, sulle pagine di Repubblica, quello stesso Bonanni che nel 2006 rifuggì il confronto civile e che da allora getta tutti i giorni pietre sulla testa dei lavoratori italiani, ha dichiarato con l'improbabile fermezza di un coniglio bagnato: "I manifestanti che lunedì a Chiomonte hanno aggredito i lavoratori sono dei fascisti che fanno violenza", aggiungendo "reagiremo" e promettendo "un'iniziativa a Chiomonte per difendere la dignità dei lavoratori che sono lì per guadagnarsi il loro stipendio".

Il tutto naturalmente mentre rimaneva chiuso dentro la sua auto blu, senza avere cognizione dei fatti di cui stava parlando, e soprattutto senza avere mai interloquito con uno solo di quei "fascisti" da lui etichettati tali, perchè ostinati a difendere il futuro della terra in cui vivono.
Prima di nutrire l'ambizione di difendere la dignità dei lavoratori, bisognerebbe sforzarsi di ritrovare la propria, ma in tutta evidenza ancora una volta il "buon" Bonanni ha perso il "treno" per riuscirci.

http://marcocedolin.blogspot.com

GAZA ASSEDIATA: LA TESTIMONIANZA DI UN CHIRURGO

DA silviacattori.net

"Cronache di Gaza 2001-2011" è uno di quei libri scioccanti che non lasciano indifferenti. In un susseguirsi di capitoli molto brevi, l'autore, il chirurgo francese Christophe Oberlin, rivela a poco a poco, con un linguaggio semplice e sobrio, la commovente umanità di un popolo e il coraggio con cui affronta l'assedio imposto dall'occupazione coloniale di Israele con la vile complicità della comunità internazionale e dei nostri principali mezzi d’informazione. Nessuna retorica, ma un ripetersi di fatti e di esperienze a contatto con le persone oggetto di violenza per rivelarci la loro terribile realtà quotidiana. Christophe Oberlin risponde alle domande di Silvia Cattori.

Silvia Cattori: Il suo racconto è molto coinvolgente [1]. Ci fa entrare nella quotidianità di queste famiglie sotto assedio, sottoposte a difficoltà di ogni genere, in grado di sopravvivere e di ricostruire con uno sguardo al futuro, qualsiasi Israele faccia loro. Sappiamo che non appena lei è arrivato a Gaza nel dicembre 2001, è rimasto incredulo di fronte agli aerei dell'esercito israeliano che volavano a bassa quota oltre la la barriera del suono, che sganciavano bombe sulla popolazione inerme. Sono passati dieci anni da questo primo contatto con la violenza, cosa è cambiato nel suo punto di vista?

Christophe Oberlin: Ciò che è cambiato è che oggi faccio una correlazione tra quello che vedo qui a Gaza e quello che ci dicono i nostri media e i nostri politici. Il loro modo con cui presentano i fatti corrisponde raramente a quello che vedo io. Tutto ciò mi ha irritato e poi ho disdetto l’abbonamento a certi giornali. Ho smesso di leggere e di ascoltare le informazioni alla radio e alla televisione. Preferisco l'informazione di qualità attraverso altre fonti.

Silvia Cattori: Capiamo che il chirurgo, venuto a Gaza per salvare vite umane, quasi subito si è trovato di fronte a tanti corpi mutilati e questo l'ha portato a riflettere sullo sfondo politico di tutto questo spargimento di sangue. Testimoniare ciò che lei ha visto, correggere l'informazione parziale dei nostri imedia non era forse un modo per rendere giustizia e restituire dignità a questo popolo?

Christophe Oberlin: È molto chiaro, è per questo che da anni reagisco, scrivo piccole testimonianze e accetto di tenere delle conferenze. Per decenni sono andato in altri paesi a lavorare senza mai sentire il bisogno di esprimermi. Ma quando si scopre che gli eventi vissuti vengono totalmente distorti, allora mi arrabbio. Dopo l'aggressione israeliana del 2008-2009 sono stato invitato in una trasmissione televisiva di France 24 per parlare della mia esperienza a Gaza. La trasmissione era intitolata: “Ci sono stati crimini di guerra a Gaza?” La domanda era del tutto fuori luogo e portava a domandarsi se i morti e i feriti erano combattenti oppure no. Essendo sul posto ho potuto vedere che c’erano esclusivamente civili e intere famiglie. Questa è disinformazione che ci porta inevitabilmente a prendere la parola per dire quello che realmente è accaduto. È chiaro che per i mezzi di comunicazione la censura è la regola, un’autocensura e non sono interessati a quello che dicono o scrivono i testimoni.

Silvia Cattori: Nelle sue pagine incontriamo personaggi strazianti, come il chirurgo Fayez. Siamo sconvolti dal vedere, attraverso il suo percorso, che questo popolo costantemente perseguitato, non ha comunque odio o risentimento contro i suoi oppressori. È sorprendentemente ottimista; secondo lei, da dove trae la forza per mantenere questa straordinaria vitalità e umanità?

Christophe Oberlin: Credo che questo faccia parte delle caratteristiche dell’umanità. Tutti coloro che hanno vissuto all'inferno ci raccontano cose simili. Primo Levi ce ne dà un esempio. Ognuno di noi ha una capacità di resistenza assolutamente straordinaria che si manifesta in condizioni estreme. Non è una particolarità di Gaza. A mio parere non ci sono popolazioni che resistono più di altre. Ma è pure vero che la forza e la resistenza testimoniata dalla gente di Gaza è ammirevole. A proposito di Fayez, mi ricordo una mattina quando era molto avvilito e mi ha detto di sfuggita: “Ho passato una brutta notte. Mia cognata è morta per un tumore al seno. Non sapevo come dirlo a mia moglie."
Nei nostri paesi dell'Occidente abbiamo i mezzi per individuare questi tumori e per salvare la maggior parte dei pazienti. A Gaza no. La semplicità con cui queste persone assediate vi parlano della loro quotidianità, ancora più atroce a causa delle malattie che non possono curare, è una lezione per tutti noi.

Silvia Cattori: Con quali postumi usciranno da questa situazione, in special modo i bambini?

Christophe Oberlin: Possiamo essere sorpresi dal fatto che non ci sia un numero più alto di persone che perde la ragione. Ho parlato con Maryvonne Bargues, un medico psichiatra che per anni ha fatto un ottimo lavoro con le famiglie che vivono nelle difficoltà, ammucchiate in dieci metri quadrati, con i bambini che hanno genitori gravemente feriti o uccisi. Il risultato è incredibile. Nonostante le condizioni di vita terribili, ci sono recuperi psicologici sorprendenti. Se oggi andate a piedi per le strade di Gaza, alla fine di una settimana di bombardamenti che hanno causato morti e feriti, avrete l’impressione di una popolazione che vive in pace.

Silvia Cattori: La sua descrizione delle personalità di Hamas che ha conosciuto sono molto positive. Sappiamo che ha stabilito rapporti di fiducia reciproca con queste persone che, malgrado le tragedie che hanno vissuto, sono rimasti pienamente umani. Il ritratto che lei fa del chirurgo e leader politico, Mahmoud Khalid Al-Zaha, ad esempio, è impressionante. Questo contrasta nettamente con l’immagine grezza, a volte pessima, che ci viene costantemente trasmessa. Vedendo la caricatura che ne fanno i giornalisti che, come te, hanno avuto la possibilità di incontrarli, cosa che l'ha ispirata?

Christophe Oberlin: Ero e rimango sconcertato. In realtà si dovrebbe sapere che i pochi giornalisti occidentali che si recano a Gaza hanno necessariamente l'accredito delle autorità israeliane. Per me il criterio per l'accreditamento [2] è chiaro: i giornalisti accreditati sono quelli che assicurano agli israeliani di denigrare tutto ciò che fa Hamas. Detto questo, ho avuto l’occasione di osservarli di nuovo. Non ho mai visto a tutt'oggi un giornalista, autorizzato a entrare a Gaza attraverso il valico di Erez, scrivere un articolo descrivendo con oggettività quello che è stato realizzato sotto l'amministrazione di Hamas.

Silvia Cattori: Questo costringe a interrogarci sui pregiudizi di questi ideologi che, dall'interno del movimento di solidarietà e non gradendo i 'barbuti', hanno privilegiato il campo dei 'laici', di questa Autorità Palestinese moderata che loro ritengono essere l'unica rappresentante legittima del popolo palestinese [3]. Le hanno rivolto rimproveri e le hanno chiesto spiegazioni sulla Carta di Hamas, che loro descrivono come antisemita [4]?

Christophe Oberlin: Purtroppo le cose non mi vengono riferite di persona. Mi dispiace perché è più interessante cercare di convincere coloro che non la pensano come te! Molto semplicemente, quelli che non sono d'accordo con quello che dico o scrivo, non mi invitano. All'interno del movimento di solidarietà, il modo di contrastare coloro che riferiscono cose positive sulla gestione politica di Hamas è quello di emarginarli. In fin dei conti, a loro volta il modo di comportarsi non è molto diverso da quello tenuto dai media.
uttavia sono regolarmente invitato a tenere conferenze in provincia. Qui gli attivisti hanno una certa indipendenza da Parigi, il quartier generale del movimento. Mi fanno presente che mi invitano perché sono interessati a conoscere tutti i punti di vista, pur sapendo che i loro dirigenti non mi apprezzano. Attraverso questi incontri pubblici mi rendo conto che, quando gli vengono descritti i fatti e vi sentono di buona fede, allora vi credono. Nelle "Cronache di Gaza" racconto solamente i fatti per quello che sono, le scene che ho vissuto con il minimo di valutazioni personali. Penso che i fatti parlino da soli, a ognuno spetta trarne le conclusioni.

Sulla Carta di Hamas. Io non ho cercato di diventare un esperto in materia, ma si scopre che, dal 2001, dopo ogni mio ritorno da Gaza, mi è stato chiesto di parlare di quello che accade. Da una conferenza all’ altra mi fanno ulteriori domande e questo ti costringe ad approfondire le conoscenze. Mi ha portato a chiedere ai miei interlocutori a Gaza una spiegazione sulla questione della Carta di Hamas, alcune parti della quale aspetti sono da noi a giusto titolo considerati inaccettabili. Mi è stato risposto che questa Carta, che risale al 1988, è stata scritta da alcune persone. Che Hamas da allora è diventato un partito politico e che dal 2006, ad ogni scadenza elettorale, è stato stilato un programma che poteva essere consultato. E che, di conseguenza, quella Carta non aveva più valore.

Detto questo vorrei dare maggior spazio al dibattito. Questo modo di riferirsi sempre all'accusa di antisemitismo, che permette di lanciare subito un'anatema su tutto ciò che si riferisce alla Palestina dopo aver sentito una frase o una parola che disturba. Questo è un procedimento molto sleale se si tiene conto del fatto che i palestinesi, che hanno intere famiglie decimate dagli ebrei e che poi sono stati costretti ad abbandonare le loro case nel 1948, hanno perso tutto. In Occidente, non appena si pronuncia la parola "ebreo" le orecchie si drizzano [5].
Comunque è stato nel nome del giudaismo, della coscienza ebraica che è stato creato uno stato ebraico. Ed è in nome di uno Stato che si proclama ebraico che le Autorità israeliane perseguitano tutto ciò che non è ebreo. Quindi, chiedere ai palestinesi che sono stati colpiti nella loro carne, di non dire di non amare i loro oppressori è un po’ troppo.
Ci possono anche essere delle 'perdite di controllo' slittamenti", ma è qualcosa che, a mio parere, è del tutto veniale dopo tutto quello che hanno subito. È insensato rimproverare questo popolo che è oppresso in nome dello stato ebraico il chiamare 'ebreo' il suo oppressore. Il reato di antisemitismo, che viene cercato in ogni situazione, è qualcosa di profondamente ingiusto.

Silvia Cattori: Lei descrive con rara obiettività le circostanze che nel giugno del 2007 hanno portato Hamas a intervenire contro i mercenari di Al Fatah, finanziati e armati dagli Stati Uniti in accordo con Israele, per sventare il piano segreto che doveva portare alla loro liquidazione.
Anche in questo caso esiste un divario tra ciò che ha visto e quello che gli 'inviati speciali', accreditati da Israele o dai partigiani di Al Fatah, hanno riferito [6]. Tutte le prove erano state messe sul tavolo, ma i giornalisti dei media di regime hanno continuato a ignorarle. Sentire addossare la violenza alle forze di Hamas, e non al progetto criminale di Al Fatah, dovrebbe far crescere un sentimento di rabbia nella stragrande maggioranza dei palestinesi che non collaborano con l'occupante. A cosa servono queste menzogne, se non a legittimare il proseguimento delle offensive militari israeliane contro Hamas e mantenere al potere dell'Autorità Palestinese?

Christophe Oberlin: È una storia penosa. Ma è anche una storia che si ripete. Per quanto riguarda la guerra d'indipendenza algerina, ad esempio, la resistenza ha ricevuto un forte sostegno da una parte della sinistra, compresi i comunisti ma, quando poi era sembrato che l'Algeria indipendente non stesse passando nel campo socialista, c’è stato un certo numero di defezioni. Sono sempre gli stessi che, in Algeria nel 1992, hanno sostenuto quella che viene eufemisticamente chiamata "l'interruzione del processo elettorale", in realtà un colpo di stato militare appoggiato dall'Occidente che ha provocato una guerra civile con 100.000 morti. Immediatamente dopo la vittoria elettorale di Hamas, si è verificato lo stesso fenomeno. Mi ricordo di un editoriale scritto da un noto sionista intitolato: "Hamas, il nemico comune". Nel corso dell’ultima celebrazione della festa dell’umanità, sono stato avvicinato da un attivista che avrebbe sostenuto un'associazione di piccole imprese a Gaza "solo nel caso si rimanga in un contesto laico".

Andare in giro parlare di laicità in un paese dove il 95% della popolazione ha dei sentimenti religiosi è completamente irragionevole. Bisogna sapere se vogliamo aiutare una causa perché ne vale la pena o perché vogliamo imporre un modello. È successo che alcuni attivisti, che volevano invitarmi a parlare del mio libro, si sono scontrati all'interno del loro comitato con i 'laici' che non vogliono assolutamente sentir parlare di Hamas.
Disprezzare Hamas è come disprezzare la popolazione che lo ha eletto. Gaza oggi è inseparabile dal voto dato a Hamas. E limitarsi a parlare della Cisgiordania è come passare dalla parte americano-israeliana che sostiene in modo rigido l'Autorità palestinese... quando poi sappiamo che se ci fossero elezioni libere anche in Cisgiordania sarebbe molto probabile una vittoria di Hamas.

Silvia Cattori: Il capitolo del suo libro intitolato "Sara" è molto forte. Sono rimasta sbalordita. Riuniti alla veglia funebre di una vecchia signora che si rivela essere la madre di Mohammed Dahlan [7], gli alti dirigenti di Hamas dialogano cortesemente con i partigiani di Al Fatah. Questi episodi sorprendono, questa mancanza di animosità da parte dei dirigenti di Hamas, i cui militanti sono stati torturati dalle forze di sicurezza di Al Fatah e incarcerati nelle prigioni della Cisgiordania, lasciano presagire che un domani, nonostante i tradimenti, la riconciliazione sia possibile?

Christophe Oberlin: Spesso ho assistito a scene di questo tipo. Mi è capitato di trovarmi in una famiglia dove erano radunati allo stesso tavolo membri di Hamas e un loro cugino medico pagato dai dirigenti di Al Fatah a condizione di non lavorare [8]. Sono rimasto stupito dell'atmosfera che regnava. Si davano solo piccole frecciatine, non c'era cattiveria. Tutto veniva detto in modo divertente. Questa fratellanza tra i palestinesi l’avevo notata prima dello scrutinio che ha portato Hamas al potere. Questo continua ancora oggi. Io credo che la riconciliazione sia possibile. Non ci sono rivendicazioni tra Al Fatah e Hamas. Si tratta di un litigio tra i dirigenti. L'Autorità Palestinese non rappresenta neanche più la base di Al Fatah. Si tratta di un falso litigio. In termini di elettori, non c'è animosità tra Hamas e Al Fatah. Se le elezioni erano organizzate in condizioni elettorali normali. si sarebbero svolte in modo pacifico anche nel 2006.

Silvia Cattori: Ancora una volta non si può non pensare che Israele non sarebbe potuto andare così lontano se gli ideologi che dettano la linea politica all'interno del movimento di solidarietà, invece di sostenere Al Fatah e coloro che hanno optato per la collaborazione con l'occupante, avessero chiaramente sostenuto il campo delle forze, come quelle di Hamas, che hanno rifiutato questo percorso e hanno continuato a rivendicare il diritto dei Palestinesi a resistere all'occupazione. Questa strana commistione non ha reso il compito più facile per Israele e prolungato la sofferenza del popolo palestinese?

Christophe Oberlin: Certo che hanno reso il compito più facile per Israele. Detto questo, non credo che avremmo potuto contenere l'escalation di violenza alla quale stiamo assistendo. Quando vediamo quello che sta accadendo oggi, che arriva - e tutto mi porta a pensarlo - sino all'assassinio deliberato di stranieri [9], quando mettiamo questi fatti in parallelo con quello che i palestinesi subiscono dall'inizio della colonizzazione ebraica in Palestina, temo che il progetto sionista dovrà necessariamente far uso di tutta questa violenza, e poi ancora più violenza e questo per sempre.

Silvia Cattori: In sintesi, l'elezione di Hamas nel 2006 fu, per molti aspetti, un momento di verità che ha contribuito a rivelare i compromessi irrisolti, anche per quanto riguarda le ONG. Tu racconti di essere stato escluso da due principali ONG francesi che non protestano mai pubblicamente quando le loro équipe mediche sono esposte a umiliazioni e vessazioni da parte delle autorità israeliane. Possiamo conoscere i nomi di queste ONG e quali pretesti sono stati invocati per privarti del loro finanziamento?

Christophe Oberlin: Si tratta in ogni caso di ONG che fanno un buon lavoro: Médecins du monde e Aide Médicale Internationale. Sono organizzazioni di grandi dimensioni che, almeno nel primo caso, coinvolgono governi importanti. Ci sono problemi di una certa rilevanza. Per accedere alla carica di presidente, ai posti di alta responsabilità, i candidati devono essere disposti a accettare ogni sorta di compromesso.
I loro superiori non vogliono sentire lamentele dalle loro équipe. Io rispetto questa posizione ma in Palestina, dove i medici subiscono ogni giorno vessazioni e umiliazioni da parte delle autorità israeliane, non accetto di stare zitto. Ci sono casi in cui è imperativo reagire.

Ci sono stati incidenti segnalati e adeguatamente documentati ma l’ONG Médecins du monde ha rifiutato di protestare. Ad esempio, a un posto di blocco israeliano, uno dei miei colleghi che era in ambulanza con un ferito, è stato oggetto di spari d’arma da fuoco poco prima dell’autorizzazione all'ingresso. Un altro esempio, quando al nostro arrivo all'aeroporto Ben Gurion, la polizia di confine ha sequestrato alcune attrezzature mediche essenziali e molto costose che stavamo trasportando a Gaza, o anche quando ci è stato chiesto di pagare una tassa sui prodotti di lusso, una cosa illegale, dato che si stava parlando di attrezzature mediche per scopi umanitari. Oppure quando i membri delle nostre équipe sono stati umiliati, molestati e bloccati non appena si sono identificati con un cognome arabo. Mai una protesta.

Silvia Cattori: Lei rivela che, già nelle prime ore dell'offensiva israeliana nel 2008, colpiti dalla carneficina, i chirurghi dei paesi arabi e musulmani, tra cui una sessantina egiziani, si precipitarono a Gaza entrando attraverso i tunnel e si misero subito a operare. Nel suo libro lei dice: "Sono stato molto colpito dalla bravura e dall'efficienza con cui hanno operato i feriti gravi e il ruolo straordinario che questi medici anonimi hanno svolto". Lei li definisce "umanitari senza i riflettori". È la discreta e incondizionata solidarietà che contrasta con la pesantezza delle nostre ONG, come si concilia con la sua speranza?

Christophe Oberlin: Assolutamente. Ha dato l'impressione di una forza straordinaria poter vedere tutti questi chirurghi altamente qualificati, che sono corsi a Gaza solo perché sono stati chiamati dai loro colleghi e hanno dichiarato di rimanere "fino a quando ce ne sarà bisogno". È allora che ho pensato che la successione di Mubarak in Egitto era dietro l'angolo.

Silvia Cattori: Nel capitolo del suo libro intitolato “Scagliarsi contro l'umanitario", lei aferma una cosa molto inquietante: sente il cappio stringersi [10]. Vuol dire che le autorità israeliane le impongono condizioni più severe, cercando di rendere sempre più difficile ottenere il permesso per entrare in Palestina. Pensa che potranno privare la popolazione di Gaza di un qualsiasi tipo di assistenza medica [11]? Quali azioni si auspica per impedirglielo?

Christophe Oberlin: I recenti omicidi dell’attivista italiano Vittorio Arrigoni a Gaza e dell’attore israelo-palestinese Juliano Mer Khamis a Hebron [12] mi hanno colpito. Dietro queste uccisioni non ci si può impedire di pensare alla mano di Israele. Quale modo migliore per demonizzare i palestinesi e per rompere il sostegno dell'opinione pubblica internazionale che uccidere due figure carismatiche tra i volontari, e far addossare ai palestinesi la colpa di un crimine di cui non sono responsabili? Tutto questo è spaventoso. C'è un'escalation che può permettere a Israele di provocare in tutto il mondo un sentimento di disgusto verso Hamas. E tutti abbiamo detto, "Potrei essere io il prossimo".
Questa non è la prima volta che una decisione viene presa al più alto livello dello Stato di Israele per assassinare persone che provengono dall'estero. Ci sono stati giornalisti assassinati [13], altri presi di mira come Jacques-Marie Bourget [14]. C'è stato l'attacco alla marina israeliana contro la Freedom Flotilla nel maggio del 2010, che ha ucciso nove umanitari. Un monumento alla loro memoria è stato eretto sul porto di Gaza.

Temo di vedere un segno dell'irrigidimento israeliano che adesso può arrivare fino all'organizzazione di assassini mirati per poi farli passare per omicidi commessi da Hamas. Si può anche pensare che sia una reazione scomposta di un potere che viene messo sotto pressione dai movimenti di protesta su cui ha perso il controllo.

Silvia Cattori: In questi anni tragici, ha visto scene di una crudeltà insopportabile. Lei era lì quando i soldati israeliani hanno deliberatamente sparato sul corpo di un giovane cameraman palestinese che era a terra [15]. Cosa ha provato quando si è trovato di fronte questo giovane paziente a cui erano state appena amputate le gambe?

Christophe Oberlin: Io sopporto di vedere persone ferite gravemente in sala operatoria, ma vedere la violenza al di fuori di questo quadro, anche nei film, è per me qualcosa di insopportabile. Quando ho visto Mohammed Ghanem in ospedale, non ero solo disgustato dal sadismo del soldato che aveva sparato una mezza dozzina di pallottole sul cameraman che stava sul pavimento (è stato tutto filmato da parte dei media arabi che erano lì), mi stavo anche vergognando perché sapevo che non ci sarebbe stata alcuna inchiesta o alcuna sanzione.

Per oltre quindici anni ho fatto il medico di guardia nel reparto di traumatologia grave. Sono specialista nella riparazione di gravi traumi, nella microchirurgia dei vasi e dei nervi; nelle sale operatorie ho ricevuto persone che hanno tentato il suicidio gettandosi sotto la metropolitana. Quando vediamo un uomo con ferite terribili in sala operatoria, dobbiamo per forza compatire. Ma siamo occupati nella riflessione, per decidere quali provvedimenti prendere. Per arrestare l'emorragia e salvare la vita del paziente. Per vedere cosa possiamo fare per preservarne le funzioni. E infine l'intervento chirurgico. Le operazioni sono molto lunghe e bisogna fermarsi di operare perché se il paziente non sta bene, bisogna rinunciare alla ricostruzione e quindi occorre l’amputazione. Questo fa parte della formazione chirurgica. Questi sono concetti che ho imparato.

Quando vediamo arrivare queste persone gravemente ferite, ci si concentra sul loro ricovero. Durante l'aggressione israeliana nel 2009, ho visto chirurghi palestinesi che non ne potevano più, li ho visti crollare, accasciarsi, ma tutto questo accadeva al di fuori della sala operatoria. In caso di emergenza, tutti lavoriamo bene, senza panico e è anche una lezione per noi. Ma ci sono situazioni, scene che ti segnano in modo indelebile, come segnano anche i palestinesi. Sono loro che rafforzano la resistenza.

ERRI DE LUCA per l'acqua pubblica

Video - messaggio di Erri De Luca 
per sostenere il referendum 
sulla ripubblicizzazione dell'acqua

mercoledì 25 maggio 2011

Tg1, giornalista lascia la conduzione. NON GUARDARE IL TG1!

“Impossibile metterci la faccia” Elisa Anzaldo scrive una lettera al direttore Augusto Minzolini per chiedere di essere sollevata dall'incarico di conduttrice del tg della notte.

"Non posso rappresentare un telegiornale che ogni giorno rischia di violare i più elementari doveri dell'informazione pubblica: l'equilibrio, l'imparzialità, la correttezza, la completezza"Il nuovo “problema” di Augusto Minzolini si chiama Elisa Anzaldo. “Caro direttore, Ti chiedo di essere sollevata dall’incarico di conduttrice del Tg1 della notte. Ritengo non sia più possibile per me rappresentare un telegiornale che, secondo la mia opinione, ogni giorno rischia di violare i più elementari doveri dell’informazione pubblica: l’equilibrio, l’imparzialità, la correttezza, la completezza…”. E’ l’ora di cena quando questa lettera arriva sulla bacheca del Tg1.

La giornalista documentava e denunciava alcuni episodi di “malainformazione”, dalle omissioni nel Rubygate, allo scarso peso dato ai manifesti anti-pm dell’ormai celebre Roberto Lassini: “Ancora ieri – scrive la Anzaldo – non abbiamo dato conto degli sviluppi dell’inchiesta Minetti-Fede-Mora. Domenica sera, 17 aprile, è stato “sfilato” alle 20 un pezzo pronto sui manifesti “Via le BR dalle procure completo in ogni sua parte, intervista a Lassini, parere del sindaco Moratti e di Pisapia, questione autosospensione di Lassini dalle elezioni comunali.

E ancora: “Nel titolo delle 20 dell’11 aprile si metteva insieme il rinvio a giudizio dell’ex segretario del Quirinale Gifuni con l’arresto del prefetto Ferrigno per reati sessuali. Qual è il criterio giornalistico adottato?”, chiede la giornalista al direttore Minzolini. ”Non c’era notizia nei nostri titoli delle 20 del 6 aprile dell’apertura del processo Ruby a Milano, forse non è stata considerata una notizia?”

La lettera non riceve risposta. Per questo Elisa Anzaldo riprende carta e penna e riscrive al suo direttore in data 11 maggio e aggiunge altri fatti spariti o resi incomprensibili: ”Non si comprende perché gli telespettatori del Tg1 non abbiano avuto notizia della proposta di modifica, da parte di un parlamentare, dell’articolo 1 della Costituzione. Perché se si tratta di una non notizia tutti i quotidiani gli hanno dedicato l’apertura? Ed erano forse degne di due righe le critiche di un ministro, Galan, ad un altro ministro, Tremonti? Questione che ha reso necessario l’intervento del premier?. O perché abbiamo ignorato, nonostante fossero disponibili i mezzi, la nuova emergenza rifiuti a Napoli sino a quando il governo non ha nuovamente inviato l’esercito…allora si… Non meritava una notizia, nel decreto dello sviluppo, la concessione delle spiagge per 90 anni? E la notizia che il governo ha sollevato conflitto di attribuzione dei poteri alla Consulta per non avere la Procura di Milano considerato un legittimo impedimento la partecipazione del premier ad un consiglio dei ministri? E l’arresto di due assessori leghisti per tangenti? Alle 20 niente. E la chiusura delle indagini sull’inchiesta per i grandi eventi, con la richiesta di rinvio a giudizio per ‘ex capo della Protezione Civile. Per noi tre righe, per i giornali intere pagine…”

Alla fine la giornalista conferma da una parte le sue dimissioni dalla conduzione del Tg1 della notte, dall’altra la sua volontà di restare a lavorare in redazione, come caposervizio alla cronaca e di voler continuare a proporre “quelle che ritengo siano notizie di cronaca”, anche quelle che “non vengono considerate tali dalla direzione”.

Il caso di Elisa Anzalone non è né l’unico né l’ultimo che riguarda la gestione del direttorissimo al Tg1. Risale alla settimana scorsa la vicenda dei montatori della Rai di Milano che, attraverso una lettera a Minzolini, esprimevano “forte dissenso” per le scelte editoriali e chiedendo il ripristino della “reale obiettività della notizia”, dichiaravano di voler togliere le firme dai servizi (Leggi). La decisione dei montatori segue di un anno quella di Maria Luisa Busi, che in polemica sempre con Minzolini, aveva scelto di non condurre più l’edizione delle 20 del Tg1. Non potendo togliere la firma, per salvare la sua professionalità la Busi aveva deciso di levare la faccia. Un gesto che seguiva i contestati editoriali di Minzolini e l’epurazione dal video dei non allineati Tiziana Ferrario (Leggi), Piero Damosso e Paolo Di Giannantonio.

ILFATTO.IT

Patto tra la Provincia di Perugia e sei comuni dell'Alto Tevere

Pietralunga, Montone, San Giustino, Santa Maria Tiberina, Lisciano Niccone e Citerna




Nuovo Patto per la sicurezza e la gestione degli eventi straordinari (sia ludici che per cause di forze maggiori) tra la Provincia di Perugia e sei comuni dell’Alto Tevere: Pietralunga, Montone, San Giustino, Santa Maria Tiberina, Lisciano Niccone e Citerna. La sigla dell’accordo è avvenuto questa mattina in Provincia alla presenza del Presidente della Giunta, di Ivo Fucelli, delegato esecutivo del Presidente della Provincia. Il Patto per la sicurezza prevede il coordinamento congiunto della polizia municipale dei vari comuni con le pattuglie della polizia provinciale presenti in Alto Tevere. Un raddoppio di uomini e mezzi che permetterà di coprire tutto l’arco della giornata – orario notturni compresi – il pattugliamento del territorio. Inoltre, il coordinamento consentirà la gestione dei grandi eventi – in funzione di controllo anche dei flussi di traffico – che nell’Alto Tevere sono all’ordine del giorno per la ricca offerta turistica ed enogastronomia. “Questo nuovo protocollo d’intesa sul coordinamento delle polizie locali e provinciale – ha spiegato il Presidente nel corso della firma degli atti – sta a dimostrare ancora una volta la volontà della Provincia di mettere a disposizione uomini, mezzi e capacità a favore dei comuni costretti loro malgrado a fare i conti con dei bilanci sempre più esigui e scarsa possibilità ad assumere. Nell’Alto Tevere avremo due postazioni fisse a Città di Castello e Umbertide che permetteranno di inviare pattuglie in tempo reale nella vasta area dell’Alto Tevere dove sono situati i comuni che hanno firmato il protocollo di intesa. Gli uomini della polizia provinciale saranno di supporto alla polizia municipale soprattutto nei servizi di prossimità – pattugliamento dei territori e sorveglianza presso scuole e parchi - e negli orari notturni. Non ci saranno sovrapposizioni ma integrazione di servizio”. Soddisfatti i sindaci firmatari dell’accordo che nei prossimi giorni, con delle riunioni mirate, trasformeranno l’accordo in un piano articolato sulle esigenze dei vari territori. Il sindaco di Citerna: “I piccoli comuni come il nostro non riescono, loro malgrado, a coprire tutti i ruoli di polizia municipale. Dunque l’assist della Provincia è per noi importante e deve essere coordinato con la nostra polizia municipale. Siamo convinti che questo patto possa far sentire più sicuri i nostri cittadini dato che è stato già esperimentato con l’emergenza della Diga di Montedoglio”. Il sindaco di Santa Maria Tiberina: “Iniziativa lodevole che ci permetterà di controllare meglio il territorio soprattutto nella fase notturna. I nostri cittadini ci chiedono di tutelare la qualità della vita e della sicurezza del nostro territorio. Questo accordo va in questa direzione dimostrando che le istituzioni sono a loro vicini”. Il sindaco di Montone: “La presenza delle pattuglie della Polizia Provinciale e di quella della polizia municipale sono elementi fondamentali della prevenzione al piccolo crimine o per quei fenomeni estemporanei, come i furti di appartamento, che di tanto in tanto turbano i nostri cittadini e che sono causati da elementi esterni. Siamo convinti che la prevenzione è più efficace della semplice repressione a cose fatte”. Il sindaco di Pietralunga: “Il nostro comune essendo molto esteso necessità di un controllo più capillare che da soli non riusciamo sempre a garantire con i nostri budget e agenti della municipale. E’ positiva dunque la collaborazione con la Provinciale per il controllo e il pattugliamento del nostro territorio, soprattutto in quegli orari più difficili”.

Sanfrancescopatronod'Italia - Attualità/Sì all'acqua pubblica



L'acqua non è soltanto un bene comune. É un dono di Dio. La battaglia contro la privatizzazione degli acquedotti acquista un sostenitore d'eccezione: la Chiesa. «San Francesco sarebbe terrorizzato da una simile idea - commenta il vescovo Alberto Maria Careggio, appena tornato dalla trasferta romana per la beatificazione di Papa Giovanni Paolo II - mi vengono in mente i paesini africani che spesso ho visitato, dove il capo villaggio conserva gelosamente la chiave dell'unica pompa dell'acqua». 


La diocesi di Ventimiglia- Sanremo scende in campo con determinazione nel difendere il referendum dei prossimi 12 - 13 giugno e lo fa attraverso il suo braccio attivo, l'Azione Cattolica, raccogliendo l'indicazione nazionale e arricchendola di una serie di iniziative ad hoc. «Abbiamo deciso di organizzare degli incontri nelle parrocchie - spiega Giulio Mascarello, presidente dell'Azione Cattolica diocesana - l'indicazione generale era quella di organizzare un grande raduno pubblico, ma noi preferiamo muoverci attraverso le singole parrocchie per raggiungere tutti in modo capillare. Dei referendum del mese prossimo si parla troppo poco, è bene risvegliare l'attenzione». Sono 18 i gruppi di Azione Cattolica presenti in altrettante parrocchie del territorio diocesano, da Ventimiglia a Santo Stefano, con 1020 iscritti e tanti altri simpatizzanti che gravitano intorno, senza contare tutte le organizzazioni cattoliche che operano nel Ponente e i gruppi degli scout. 


Il primo di questi incontri si svolgerà a Taggia, giovedì prossimo, con la partecipazione del sindaco Genduso. Ma già nei prossimi giorni verranno predisposti gli incontri da mettere in calendario. Mercoledì, per esempio, a San Siro, ci sarà una grande riunione (la cattedrale sanremese raccoglie 200 iscritti di Azione Cattolica, un gruppo di Comunione Liberazione e uno di scout). «La legge proposta - conclude Mascarello - è contraria al Vangelo e alla Bibbia. L'acqua può essere solo un bene comune, per questo chiediamo ai fedeli di andare a votare compatti per il sì». 


Un alleato fortissimo quello che i movimenti riuniti nel Cimap, il coordinamento imperiese per l'acqua pubblica, si trovano ad avere al fianco nella lotta per la sensibilizzazione: «L'acqa non è frutto del caso ma dell'equilibrio perfetto che sorregge il creato si legge in un comunicato dell'Azione Cattolica diocesana che riprende i concetti già espressi da Papa Benedetto XVI - non può essere a disposizione di pochi che decidono a chi, come e a quale prezzo dispensarla». Sul nucleare la posizione è meno ferma, anche se la Chiesa invita tutti ad esprimere un parere «perché il tema è centrale», ma lasciando sostanziale libertà di coscienza. Sul legittimo impedimento, naturalmente, nessun commento. «Intanto raggiungiamo il quorum per difendere il diritto all'acqua - conclude il vescovo Careggio - poi bisognerà aprire una discussione sulla gestione delle cose di tutti ed educare al rispetto: la tendenza ormai è quella ad "arraffare" il più possibile, pensando solo ai propri interessi».

(Il Secolo XIX)


Fonte: http://www.sanfrancescopatronoditalia.it/9740_Attualit%C3%A0_S%C3%AC_all_acqua_pubblica.php

martedì 24 maggio 2011

Referendum sull’acqua, appello del vescovo di Reggio Emilia: “Votate sì”



“Dacci la nostra acqua quotidiana”. Parafrasando le parole del Padre nostro il vescovo della Diocesi di Reggio Emilia e Guastalla Adriano Caprioli ha esortato tutti i cittadini a recarsi alle urne il 12-13 giugno per votare “sì” ai referendum in difesa dell’acqua pubblica. Una presa di posizione netta quella della Chiesa cattolica reggiana che va aggiungersi alla firma del manifesto della campagna “Acqua, dono di Dio e bene comune” promossa dalla Rete interdiocesiana Nuovi stili di vita che vede l’adesione di ben 25 diocesi italiane. “L’acqua è fonte di vita – continua il vescovo di Reggio Emilia e Guastalla – Privatizzare l’acqua significa diventare proprietari della vita altrui. Perciò l’acqua deve restare pubblica. Chi la gestisce deve essere attento a non farne un oggetto di conflitto e i beni essenziali devono essere gestiti in modo solidale . Il compito della chiesa è quello di formare rispetto a quelli che sono i valori da difendere . La globalizzazione fa crescere nuove forme di povertà e bisogna cercare di rendere i beni di prima necessità a portata di tutti». Libertà di voto è stata data invece sui temi del nucleare e del legittimo impedimento, con l’invito comunque di recarsi alle urne per onorare la democrazia”.

Al fianco del Vescovo Caprioli c’era anche l’ex direttore del Centro Missionario di Reggio don Emanuele Benatti ed uno ospite straniero il vescovo Luis Intanti Della Mora della diocesi di Aysen, nella Patagonia cilena ed Emiliano Codeluppi del Comitato Acqua Bene Comune di Reggio Emilia.

Presentando la campagna “Acqua Dono di Dio” gli intervenuti hanno specificato bene la discesa in campo della Chiesa cattolica sul tema referendario.

“Il nostro scopo è che la gente sia informata e vada a votare secondo coscienza- ha spiegato don Benatti – per questo facciamo sentire la nostra voce a parrocchie, scuole, organizzazioni pubbliche. Noi stiamo con chi difende i referendum e l’acqua pubblica, perché i poveri non muoiano di sete e che non si scatenino guerre per l’acqua come ora si fa con il petrolio”.

“Io ne so qualcosa di cosa visto che il 96% dell’acqua e delle reti in Cile è di proprietà di Enel, ora gli esperimenti sulla pelle dei cittadini si esportano anche qui ed è negativo, molto negativo” ha spiegato il vescovo cileno Della Mora”.

Non è la prima  volta che la Diocesi di Reggio Emilia e Guastalla prende posizioni nette e radicali su temi ambientali e legati ai beni comuni.  Durante gli scorsi anni, don Gianni Bedogni, responsabile della Pastorale Sociale del Lavoro della Diocesi, sacerdote attentissimo alle tematiche ambientali ed una delle “eminenze grige” della diocesi reggiana, aveva preso posizione pubblicamente contro la costruzione di un nuovo inceneritore a Reggio Emilia, facendo campagne pubbliche a favore della riduzione dei rifiuti, per la raccolta differenziata spinta porta a porta, il riciclo ed il compostaggio e non si era tirato indietro a strizzare l’occhio anche a Beppe Grillo quando tra il 2006 ed il 2007 venne più volte in città a sostenere i comitati cittadini in questa battaglia poi vinta.

Sempre la Diocesi aveva preso posizioni dure contro la cementificazione del territorio e  durante la Quaresima del 2009 era stata organizzato dal gruppo sui “Nuovi stili di vita e della Difesa del Creato” una via crucis molto particolare dove si erano difese pubblicamente: acqua pubblica, riciclo e riduzione dei rifiuti, risparmio energetico e fonti rinnovabili, stop al consumo di territorio, lotta agli sprechi, difesa dell’agricoltura a chilometri zero.

E bravo Adriano! Il Vescovo di Reggio Emilia, ormai agli sgoccioli del suo vescovato, piazza lì un bel carico da 10, schierandosi apertamente per il SI ai referendum sull'acqua pubblica! Non sono un grande fan della mia diocesi (non per questioni legate alle persone che la formano, più che altro per questioni mie di fede...), ma devo dire che questa volta mi levo il cappello davanti a questa presa di posizione netta, aiutata anche dal fatto che venga invitato un prelato sudamericano, zona in cui la mercificazione dell'acqua ha effetti devastanti! Il Vescovo Della Mora, leggevo ieri sulla Gazzetta di Reggio, diceva anche che in Patagonia cilena l'acqua in bottiglia costa più del petrolio, nonostante (ma anche per questa ragione!) sia una delle zone più ricche nel mondo di questo bene prezioso!  E' questo dovrebbe far capire a cosa si va incontro se la strada continua ad essere quella della privatizzazione, ovvero a guerre non più combattute per il petrolio ma per l'acqua!!! Com'è chiara la critica che la chiesa della Patagonia fa al modello neoliberale, causa principale di questa crisi economica mondiale, dovuta anche a queste disgraziate ricette di politica economica! Il Sudamerica però è anche fonte di esempi positivi sulla gestione dellìacqua, basti pensare alla "Guerra dell'Acqua" di Cochabamba in Bolivia, dove all'inizio degli anni 2000, l'allora non ancora presidente Evo Morales si mise alla testa di una protesta che cacciò la multinazionale a cui era affidata la gestione dell'acqua della zona, che aveva imposto un aumento del 300% delle bollette! Oppure delle Costituzioni di Venezuela ed Ecuador, che dicono chiaramente che l'acqua è un bene comune pubblico, gratutito e di tutti, che non può essere in alcun modo mercificata! Della Mora ricorda anche chi fu il pricipale colpevole della privatizzazione dell'acqua in Cile... ovvero il Fondo Monetario Internazionale, che impose, ai tempi di Pinochet, una serie di privatizzazioni in tutti i settori economici del paese, che portò un'indubbia crescita economica, ma anche a creare una delle società più diseguali (e violente), in termini di ricchezza pro capite, di tutto il continente americano! Speriamo ora che altre diocesi prendano esempio da quella di Reggio Emilia, sarebbe importantissimo per la riuscita del referendum! Perciò, il 12 e 13 giugno non facciamoci fottere il futuro da questi gangster, andiamo a votare in massa e votiamo quattro SI ai quesiti referendari! 

Vince il PD, cioè Guasticchi, anche a Gubbio



Complimenti al giovane nuovo sindaco di Gubbio, Diego Guerrini, che ha guidato il PD ad una straordinaria affermazione. Sembra naturale collegare questo successo al trionfo di Luciano Bacchetta a Città di Castello. Entrambi i candidati hanno potuto contare su un appoggio del centrosinistra unito e, anche, su un buon coordinamento con l'azione politica del Presidente della Provincia Marco Guasticchi, grande tessitore di alleanze e di programmi. Con le sue parole sembra giusto commentare l'evento.
“La straordinaria vittoria di Diego Guerrini al primo turno e’ un risultato storico che conferma la validità del buongoverno di centrosinistra in Umbria. Dalla Regione, alla Provincia agli enti locali per ribadire un “modello” di gestione politico-amministrativa vincente, premiato dai cittadini”. A distanza di una settimana dalla tornata elettorale il Presidente della Provincia di Perugia Marco Vinicio Guasticchi, dopo aver formulato le piu’ sentite felicitazioni al neo-sindaco di Gubbio Diego Guerrini, eletto al primo turno, ha sottolineato l’importanza di questo risultato che in Alta Umbria giunge dopo quello altrettanto “storico” di Città di Castello con Luciano Bacchetta. “Uniti si vince – afferma il Presidente della Provincia di Perugia – questi risultati rappresentano l’attestato del consenso dei cittadini i quali hanno voluto dare il proprio sostegno ad un governo che ha dimostrato impegno nell’azione amministrativa delle proprie comunità e che si vuole porre come garante dello sviluppo dei centri della nostra regione. Anche a Gubbio i cittadini potranno contare sull’impegno del sindaco Guerrini e su un coeso centrosinistra per costruire una rinnovata azione di governo che vada in direzione di una nuova e moderna crescita e di un più marcato sviluppo del territorio eugubino’. “La Provincia di Perugia, come ha sempre fatto dall’inizio di questa legislatura – conclude il Presidente della Giunta Provinciale – non mancherà di far sentire il proprio apporto e sostegno istituzionale ai comuni per contribuire insieme, alla crescita sociale, economica e culturale”. “Così sarà anche per Gubbio”.


Nella foto: Guasticchi e Guerrini con il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, in occasione dell'incontro a Gubbio, durante la campagna elettorale.

lunedì 23 maggio 2011

Ricordiamo un uomo di giustizia: GIOVANNI FALCONE! L'attacco di Grasso al governo: "Come dialogare con chi ci insulta?"

Alta tensione al convegno organizzato nell'aula bunker del carcere dell'Ucciardone con il procuratore nazionale antimafia e il ministro della Giustizia Alfano

Maroni, Alfano e Grasso al convegno nell'aula bunker

"Come è possibile dialogare con chi ti prende a schiaffi, con chi chiama i magistrati matti, cancro, golpisti?". Nell'aula bunker del carcere dell'Ucciardone, Pietro Grasso rompe i convenevoli di rito, nel giorno della commemorazione di Giovanni Falcone, e replica così al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ospite come lui del dibattito "Giovanni e Paolo, due italiani", moderato da Giovanni Minoli. Proprio Minoli aveva appena chiesto al procuratore nazionale Antimafia una battuta per smorzare la tensione tra magistrati e potere esecutivo.


Sulla riforma della Giustizia, Grasso ha sottolineato: "Io la contesto dal titolo. Non è una riforma della giustizia ma del rapporto tra magistratura e politica. Nel senso che la riforma che attendevano i cittadini è qualcosa di diverso, la possibilità di celebrare rapidamente un processo, eliminando regole e orpelli che ne rallentano lo svolgimento".

"Questo anniversario - ha detto Grasso - cade in un momento in cui i magistrati sono spesso messi sotto accusa, ma questo non ci deve turbare più di tanto anche se ci sono tentativi di delegittimazione noi dobbiamo rispondere con i fatti, i comportamenti, il lavoro, i nostri provvedimenti. Non dobbiamo accettare la rissa e dobbiamo continuare a fare il nostro dovere come abbiamo sempre fatto e come i cittadini vogliono".

Il ministro Alfano ha sottolineato: "Noi lavoreremo sempre perché sia garantita l'autonomia e l'indipendenza dei magistrati e nessuna nostra riforma vorrà mettere i Pm sotto l'esecutivo. Crediamo che l'autonomia e l'indipendenza dei magistrati siano un presidio di legalità che non va toccato". Del procuratore Grasso, il guardasigilli ha detto: "E' un uomo delle Istituzioni che non fa sconti al Governo ma che non si pone al servizio di una parte politica e questa è una cosa importantissima".

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L'ascensore sociale va solo in discesa. L'Italia si sente sempre più povera

Sondaggio Demos-Coop. Il ceto medio diventa minoranza. Commercianti e artigiani sono lentamente scivolati verso il basso. E il 44% dei professionisti si dichiara precario

di ILVO DIAMANTI

C'È INSODDISFAZIONE in Italia. Un'insoddisfazione sorda ma non più muta. Trapela da mille segnali, piccoli e grandi. Le proteste sociali che si susseguono, da mesi. In modo ostinato e insistente. Nelle piazze, nelle scuole, nei luoghi di lavoro. L'abbiamo riconosciuta, da ultimo, nel voto amministrativo. Che ha rivelato cambiamenti profondi. E inattesi. Dietro a tanta insoddisfazione si colgono tanti motivi, di natura diversa. Uno, però, risulta evidente. L'ascensore sociale è in discesa, da troppo tempo. Per usare un ossimoro. I dati dell'Osservatorio di Demos-Coop, al proposito, sono espliciti. Anzitutto, la classe sociale (percepita dagli italiani). Per la prima volta, da quando conduciamo i sondaggi dell'Osservatorio, la piramide si rovescia completamente. Senza "mediazioni". Infatti, le persone che si collocano nella "classe operaia" oppure fra i "ceti popolari" superano, per estensione, quelle che si sentono "ceto medio". Dalla cetomedizzazione degli anni Ottanta - un neologismo ostico ma suggestivo, coniato da Giuseppe De Rita - si sta scivolando verso una sorta di "operaizzazione". Singolare destino, visto che da tempo si predica l'estinzione della classe operaia. Tuttavia, l'indicazione del sondaggio è esplicita. Il 48% del campione nazionale dice di sentirsi "classe operaia" (39%) oppure "popolare" (9%). Il 43%: "ceto medio". Il 6%, infine, si definisce "borghesia" o "classe dirigente". È l'unico settore sociale stabile. (Le classi privilegiate, d'altronde, sentono la crisi meno delle altre. Anche se la temono.) Invece, il peso del "ceto medio" è sceso di 5 punti negli ultimi tre anni e di 10 negli ultimi cinque. Simmetricamente, l'ampiezza di coloro che si sentono "classe operaia" oppure "popolare" è cresciuta di 3 punti negli ultimi tre anni e di 9 negli ultimi 5. Prima causa: lo slittamento dei lavoratori autonomi (artigiani e commercianti). Metà di essi oggi si posiziona nei ceti popolari. Lo stesso avviene per circa un terzo di impiegati e tecnici.

GUARDA LE TABELLE 1

Peraltro, l'insoddisfazione verso l'economia e il mercato del lavoro, secondo il sondaggio Demos-Coop, non è mai stato tanto elevata. Verso l'economia: nel 2004 coinvolgeva il 59% della popolazione, oggi il 71%. Verso il lavoro: nel 2004 era espressa dal 60% della popolazione, oggi inquieta il 75%. La delusione sociale: investe tutti. La novità assoluta è che il senso di declino sociale non riguarda i "soliti noti". Operai, pensionati e disoccupati, su tutti. Ma risucchia altri gruppi, che si è soliti collocare (e fino a qualche anno fa si collocavano) più in alto. Nei ceti medi. Perfino nelle classi dirigenti.
Una quota ampia di lavoratori autonomi (20%) ma soprattutto di liberi professionisti (44%) oggi definisce la propria condizione di lavoro "precaria".

D'altra parte, basta considerare il lavoro realmente svolto nell'ultimo anno dagli intervistati. Una componente ampia di essi (il 17% sul totale) dichiara di aver lavorato in modo temporaneo, per una parte più o meno ampia dell'anno. Si tratta dei giovani, soprattutto. E degli studenti (28%). Una generazione precaria, si è detto. È, effettivamente, così. Una generazione senza futuro. Il 63% del campione ritiene, infatti, che i giovani avranno un futuro peggiore di quello dei genitori. E il 56% ritiene che i giovani, per avere speranza di carriera, se ne debbano andare via. All'estero. Ne sono convinti, per primi, gli interessati: il 76% di coloro che hanno meno di 25 anni. Tuttavia, la precarietà è un sentimento diffuso. Che attraversa tutti i settori sociali. L'insoddisfazione verso la situazione economica e del mercato del lavoro, infatti, oltre che fra i disoccupati, raggiunge il massimo livello tra i liberi professionisti e i lavoratori autonomi. Ed è alta anche fra i tecnici e gli impiegati. Dal punto di vista della classe sociale: inquieta soprattutto coloro che si sentono "borghesia" oppure "classe dirigente". Non è poi così sorprendente. Il fatto è che non ci sono abituati. Per cui temono di perdere i privilegi di cui dispongono.

Si spiega così la perdita di appeal del "lavoro in proprio". Ma anche la parallela ripresa dell'attrazione esercitata dal lavoro pubblico (soprattutto nel Mezzogiorno). Nonostante da anni venga stigmatizzato da autorevoli esponenti del governo. Non è che i cittadini provino un'insostenibile voglia di fare i "fannulloni". È il senso di insicurezza che pervade il lavoro. L'economia. Magari non è una grande novità, potrebbe eccepire qualcuno. È vero, ma non del tutto. Perché fino a poco tempo fa funzionava un meccanismo psicologico che disinnescava gli effetti politici della delusione economica e sociale. Anzi: li rivolgeva a scapito dell'opposizione. Una sinistra "impopolare". Sempre più in difficoltà nell'intercettare il consenso dei dipendenti privati e dei ceti sociali più precari. Rannicchiata - e quasi accerchiata - dentro il perimetro dei pensionati e del pubblico impiego. Soprattutto degli insegnanti e delle figure "intellettuali". Da qualche tempo, questa spirale senza fine sembra essere giunta alla fine. Il processo di operaizzazione e di discesa sociale sta producendo - ha già prodotto - effetti politici evidenti. E sembra sempre più arduo, per il governo e per il suo capo, proseguire nella strategia della dissimulazione. Dire, da un lato, che non è vero. Trattare chi predica sfiducia da nemico della nazione. Dell'Italia.

D'altra parte, non è facile scaricare le colpe e le paure della crisi sempre sugli "altri". Gli immigrati e gli stranieri. Poi, l'euro e l'Unione Europea. Sul piano interno: Roma padrona e il Sud spendaccione. O, viceversa, il Nord egoista. Alla lunga, il meccanismo si è logorato. Difficile dire che la crisi non c'è. Che le cose vanno bene. Che noi stiamo bene. Che bisogna avere fiducia (ora). Che gli operai non esistono. Se mezza Italia, ormai, si sente e si dice operaia. Se i ceti medi e perfino i borghesi hanno paura. Se i giovani pensano di fuggire dal Paese. Se i genitori, per non parlare dei nonni, non hanno argomenti validi per trattenerli. Ed è difficile scaricare le colpe sull'opposizione, che da anni latita. Ma è difficile, per la maggioranza, anche prendersela con il Sud o con il Nord. Spostare i ministeri da Roma a Milano. Visto che in entrambi i casi significa prendersela con se stessa. La Lega del Nord contro il Pdl romano - e del Sud. E viceversa. Così - "forse" - dopo tanti anni, siamo giunti alla resa dei conti. O almeno: all'assunzione di responsabilità. Se piove e fa freddo, se l'orizzonte è scuro. Non può essere - sempre e solo - colpa degli "altri".

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domenica 22 maggio 2011

CONTRORDINE: Censis, lavoro manuale per un giovane su tre

In Italia la media dei quindici-ventiquattrenni occupati come artigiani e operai è superiore a quella europea. E il nostro paese ha il record negativo degli under 35 con incarichi dirigenziali. Cresce invece il ruolo imprenditoriale dei minori di 29 anni
ROMA - Tornano a fare gli operai e gli artigiani i ragazzi italiani. In nessuno dei grandi paesi europei i giovani svolgono così spesso lavori manuali. Il 42,5% dei lavoratori tra 15 e 24 anni e il 36% di quelli tra 25 e 34 fa un'attività artigianale, operaia o non qualificata. Più di quattro punti sopra la media dell'Unione Europea, secondo l'Indagine conoscitiva del mercato del lavoro del Censis.

Le professioni non qualificate sono le uniche a crescere dal 2007 al 2010, mentre la crisi si fa sentire sempre più forte salendo lungo la scala gerarchica. Diminuiscono del 25,8% i giovani occupati come operai, del 19,2% le professioni tecniche ("che pure sono le più richieste dal mercato", osserva il Censis), addirittura del 34,9% i funzionari e i professionisti.

Così oggi l'Italia ha il record negativo di under 35 con incarichi dirigenziali, che riguardano il 14,6% dei giovani e il 3,5% dei giovanissimi (la media Ue è del 24,2% e del 7,0%).

E' frequente l'accusa ai ragazzi di rifiutare il lavoro manuale, ma "l'Italia è il primo dei grandi paesi europei per presenza giovanile nell'industria, e in particolare nel manifatturiero - scrive il Censis - e il settore assorbe complessivamente il 31,6% degli occupati di età compresa tra 15 e 24 anni e il 30,8% di quelli tra 25 e 39 anni". Al contrario, sono molti meno che nei paesi vicini i giovani lavoratori dei servizi, e in quest'ambito si concentra il maggior peso della precarietà. Il terziario dà lavoro infatti a poco più del 65% dei ragazzi, ma è all'origine del 73% dei contratti atipici.

Paesi come la Germania, la Gran Bretagna o la Francia, offrono oggettivamente più speranze di carriera. Per esempio in Inghilterra più di un lavoratore su tre tra i 25 e i 34 anni ha incarichi dirigenziali (in Italia meno di uno ogni sei), e il numero di ragazzi che lavorano nell'arte, nello sport o nell'intrattenimento è il doppio che da noi. Lo stesso discorso vale per medici e infermieri.

Se c'è un ambito nel quale i ragazzi italiani sono i primi della classe in Europa è quello dell'imprenditorialità e della libera professione. Il tasso di lavoratori autonomi tra i 25 e 34 anni è più del doppio che in Francia, Germania o nel Regno Unito, il 22,5%. Anche in questo campo, però, la tendenza è negativa: tra il 2005 e il 2010, le imprese guidate da giovani con meno di 29 anni sono diminuite del 18,4%, quasi cinque volte il dato di tutte le imprese del paese (-3,7%)

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AVIDITA' PREDATORIA: Le isole scomparse nel mare del dio Ram

Poomarichan e Villanguchalli si sono inabissate. Erano due delle 21 lingue di terra del Parco nazionale di Mannar. La causa: la continua estrazione mineraria della barriera corallina usata per i materiali da costruzione. Uno strato calcareo estremamente prezioso per l'ecosistema. Del quale l'uomo ha approfittato troppo


Troppe estrazioni dalla barriera corallina
e due isole dello Sri Lanka si sono inabissate

BANGKOK - Molti scienziati sostengono che migliaia di anni fa doveva esserci una lunga striscia di sassi e sabbia tra la costa sud orientale indiana del Tamil Nadu e l'isola di Ceylon, oggi Sri Lanka. Veniva chiamato Adam Bridge, il Ponte di Adamo, in omaggio alla credenza islamica che attribuisce al nostro progenitore la leggendaria passeggiata fino al picco di Ceylon dove restò in meditazione su un solo piede per mille anni. Per gli hindu invece fa testo l'epopea del Ramayana, uno dei pilastri della cultura vedica, secondo il quale il dio Ram usò quest'autostrada marina - chiamata in India Ponte di Ram - per andare a salvare sua moglie Sita dalle grinfie del demone Ravana che l'aveva rapita e portata a Ceylon, accompagnato dal possente esercito di scimmie capeggiate dal loro re Hanuman.

Ancora oggi le navi più grandi fanno fatica a trovare un passaggio in questo tratto di mare vasto 500 km quadrati e costellato fino a pochi mesi addietro di 21 piccole isole semideserte del Parco nazionale di Mannar, oggi ridotte a 19 dopo l'inabissamento quasi improvviso di due atolli, Poomarichan e Villanguchalli. All'inizio se n'erano accorti solo gli esperti di Oceanografia e i pescatori che a migliaia solcano queste acque mitologiche. La colpa venne subito attribuita al surriscaldamento dell'atmosfera e allo scioglimento dei ghiacciai, un fenomeno che ha già fatto diverse vittime tra le terre emerse dell'Oceano indiano come New Moore (South Talpatti in lingua locale), un atollo disabitato di due chilometri quadrati nella baia del Bengala, inghiottito nel giro di pochi mesi mentre India e Bangladesh se ne contendevano militarmente la proprietà negli anni '90. O come Carteret, un'isola al largo di Papua Nuova Guinea, dove gli ultimi abitanti sono stati traslocati due anni fa una volta stabilito che il mare continuava ad avanzare lento e inesorabile verso l'entroterra.

Ma ricerche più recenti hanno sentenziato che la sorte di Poomarichan e Villanguchalli, a differenza degli altri casi, è stata segnata più dall'intervento degli uomini che da quello di madre natura. L'estrazione mineraria della barriera corallina usata per i materiali da costruzione ha di fatto eroso la base sulla quale poggiavano i tre metri di terra emersa, dicono ora gli esperti, come S. Balaji, responsabile delle foreste e della fauna selvatica di questa regione Indo-Pacifica, unica per le sue risorse biologiche marine con 3600 specie di flora e fauna spesso rarissime. Sono stati principalmente i pescatori delle coste ad approfittare indiscriminatamente e illegalmente (le normative per i vincoli del Parco sono state adottate solo nell'89) di questo substrato calcareo estremamente prezioso per l'ecosistema.

"L'assenza di regolamenti prima del 2002 - ha detto Balaji - è stata la causa di una selvaggia estrazione mineraria interrotta troppo tardi per evitare l'inabissamento delle due isole. L'innalzamento del livello del mare, che qui è stato più lento della media globale, ha avuto a sua volta un impatto, ed "è sicuramente un campanello d'allarme serio per l'intero Oceano indiano" - ha detto il funzionario indiano che dirige anche una fondazione per la salvaguardia della biosfera del Golfo di Mannar.

Della sorte di queste isole sono preoccupati anche gli scienziati dell'Ente per i programmi di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP). "Il golfo di Mannar è una riserva unica per gli ecosistemi come le barriere coralline, le mangrovie e le alghe", ha commentato il biologo marino Deepak Samuel. "È un vivaio per numerose conchiglie - ha aggiunto - e pesci pinnati (un quarto delle 2000 specie vive qui). Questo significherà la progressiva fine del processo riproduttivo in questi tre ecosistemi." Sono più di 300.000 i pescatori che dipendono dalle risorse delle isole Mannar per sopravvivere, senza contare la sorte delle specie autoctone come il dugong o "mucca" del mare a rischio di estinzione, ben 117 tipi di corallo, 13 delle 14 categorie di alghe dei mari indiani e un prezioso genere di perla raccolta da almeno 2000 anni.

Benché gli isolotti sommersi siano piccoli, hanno ammonito i ricercatori - la stessa sorte può toccare a lungo termine alle isole più grandi se non rallentano il riscaldamento globale e l'estrazione mineraria illegale, assieme all'inquinamento delle industrie lungo la costa. Per capire l'importanza della barriera corallina in pericolo, fu proprio la sua massa compatta - secondo l'Istituto Oceanografico di Chennai - a salvare le spiagge indiane e molte delle coste dello Sri Lanka da conseguenze ancora più terribili di quelle subite durante lo tsunami del 2004.

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sabato 21 maggio 2011

elle kappa su silvio-pisapia

"Trasferisco Roma a Milano"

Dieci ipotesi su cosa farà, dirà, prometterà
Berlusconi ai milanesi per ribaltare il risultato elettorale
Silvio Berlusconi

1) Pisapia è il nipotino di Bin Laden

2) Strauss-Kahn è innocente.
E' stato Pisapia a stuprare la cameriera.

3) Sostituirò la Moratti con Lars von Trier

4) Trasferirò Roma a Milano

5) Trasferirò la nebbia a Roma

6) In caso di sconfitta anche al secondo turno
trasferirò a Milano la spazzatura di Napoli

7) Abolirò il voto di ballottaggio. Basta il giuramento
sulla testa dei miei figli che ho vinto io

8) Tutti gli elettori di Milano avranno un posto da sottosegretario

9) Le tasse dei milanesi verranno pagate dai romani

10) Se vinco mi dimetto

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Le bombe a grappolo ora sono davvero vietate L'Italia non potrà più produrle né venderle



Il voto della Camera dopo un iter travagliato ha ratificato finalmente le indicazioni della Convenzione di Oslo del 2008. Molti l'avevano già fatto da tempo, altri ancora no, compresa l'Italia. Chi ancora fa finta di niente sono Usa, Russia e Cina che non hanno neanche firmato l'accordo in Norvegia. Eppure sono rimaste alcune lacune e alcune scappatoie possibili per tornare a produrle. Ci vuole vigilanza


di ANDREA SARUBBI (articolo su Repubblica)

ROMA - La notizia è stata inghiottita dai titoli sulle amministrative e sugli smottamenti nel governo, ma in altre circostanze - e forse in altri Paesi - avrebbe meritato approfondimenti in prima serata: da ieri, l'Italia ha messo fuori legge le munizioni a grappolo, che se esistesse un campionato di crudeltà tra le armi in commercio lo vincerebbero a spasso. Se le cosiddette bombe intelligenti sono pensate per colpire un obiettivo specifico, le clusterhanno esattamente la finalità opposta: colpire a casaccio, che sia un campo di battaglia o un campo di grano, che la guerra sia in corso o che sia finita da anni, che la vittima sia un soldato col bazooka o un bimbo col pallone. Lanciate dall'alto, nella traiettoria si sparpagliano dove capita e si fermano lì, spesso inesplose, finché qualche sventurato non le pesterà.

Non si possono più produrre né vendere. La Convenzione di Oslo, nel 2008, le aveva vietate, lasciando però agli Stati firmatari il compito di recepire il divieto nel proprio ordinamento: qualcuno lo ha già fatto da tempo, qualcun altro - tipo Stati Uniti, Russia e Cina - non ha neppure firmato la Convenzione. L'Italia ci ha messo tre anni per ratificarla, ma ce l'ha fatta, e da oggi cambia qualcosa: nel nostro territorio le munizioni a grappolo non si possono più produrre, né trasferire, né vendere, né stoccare; le scorte esistenti vanno distrutte, tranne una minima parte utilizzabile nelle esercitazioni per lo sminamento; siamo obbligati a bonificare i territori infestati ed a fornire assistenza alle vittime.

E La Russa si è dirato dall'altra parte. Avevo posto il problema alla Camera qualche mese fa, presentando una proposta di legge "pluripartisan" che aveva raccolto 86 firme: deputati di Centrosinistra, di Centrodestra, del Terzo Polo e del gruppo misto. Ma le firme, da sole, servono a poco e va riconosciuto al governo di aver lavorato perché questo testo arrivasse in Aula; in particolare, il merito va al ministero degli Esteri, che ha preso a cuore il tema ed ha trovato un po' di fondi per la copertura, mentre il ministero della Difesa - che pure dovrebbe sapere quanto sia fondamentale l'opera quotidiana dei nostri soldati per lo sminamento delle cluster in Libano - si è girato dall'altra parte. Ne è venuto fuori un disegno di legge governativo sufficiente a portare a casa un risultato, ma decisamente minimalista rispetto alla mia proposta iniziale: con un po' di coraggio, si sarebbe potuto fare di più.

Le lacune della legge. Sul fronte cassa, ad esempio, la metà vuota del bicchiere ci dice che - mentre i tagli alla cooperazione proseguono, in spregio a tutti gli impegni presi in sede internazionale con l'Onu - il testo approvato ieri non prevede risorse adeguate per aiutare le vittime delle munizioni a grappolo: servono almeno altri 2 milioni di euro, più o meno il prezzo di una villa a Lampedusa su un terreno di proprietà del demanio, ma il presidente del Consiglio stavolta non li ha trovati. Poi c'è un'altra lacuna della norma, che poteva essere facilmente colmata: a differenza della legge che il Parlamento approvò 14 anni fa, recependo la Convenzione di Ottawa sulle mine antipersona, in questo caso non c'è nessun obbligo di denuncia a carico di chi dispone di diritti di brevetto o di tecnologie idonee alla fabbricazione di munizioni a grappolo.

Le scappatoie possibili per fabbricarle ancora. È vero che al momento non risultano aziende italiane produttrici; è vero che esiste un divieto di produzione di questi ordigni sul territorio nazionale; può accadere, però, che le tecnologie o i diritti di brevetto esistenti vengano ceduti da un titolare italiano ad un'azienda americana o cinese, e sarebbe stato opportuno vietarlo. Infine, il tema dei finanziamenti: può una banca italiana - o un intermediario italiano - finanziare la produzione di munizioni a grappolo in Russia? In molti altri Paesi europei ciò è espressamente vietato, da noi no; eppure, non ci voleva molto a prevedere un controllo della Banca d'Italia. Tutti questi miglioramenti del testo, contenuti nella mia proposta di legge iniziale e tradotti in emendamenti al ddl governativo, sono stati respinti dalla maggioranza; li ho così trasformati in ordini del giorno, che il governo ha accolto come raccomandazioni. Toccherà insomma vigilare perché, da qui a fine legislatura, si riprenda in mano l'argomento e non lo si lasci cadere.

11 mila morti l'anno: 98% civili; 1/4 bambini. Ma è soprattutto su un altro fronte che attendiamo sforzi concreti dalla nostra diplomazia: se non faremo pressione anche sugli Stati più refrattari alla firma, per convincerle a sottoscrivere la Convenzione ed a recepirla nel proprio ordinamento, le armi a frammentazione continueranno a provocare stragi di innocenti, come sta avvenendo oggi in 23 aree di guerra e come probabilmente avverrà ancora. Degli 11 mila morti l'anno per le cluster, il 98 per cento sono civili, e un quarto sono addirittura bambini: insieme alle vittime, è il caso di dirlo, saltano in aria anche le norme di diritto umanitario, ed è su questo punto che ci aspettiamo dal governo un'azione incisiva in sede internazionale.

Andrea Sarubbi è deputato del PD