mercoledì 15 giugno 2011

Se YouTube e Facebook sconfiggono la televisione. RIVOLUZIONE!?!

Dalle elezioni milanesi al raggiungimento del quorum: due campagne in cui (anche) l'uso di Internet ha fatto la differenza.

Con il mouse si può scegliere di «cambiare canale» Per gli adolescenti ciò è normalissimo Venerdì prima di lezione, Andrea Rossetti si era fermato al mercato per comprare della frutta; insieme alle monete di resto, il fruttivendolo gli aveva dato un volantino non richiesto con scritto «Vota quattro sì». Ieri sera Marco Ripoldi era in scena al prestigioso Piccolo Teatro. Oggi Philippe Ridet dovrebbe consegnare ai capi l'ultima inchiesta sull'Italia. All'ateneo milanese della Bicocca, Rossetti insegna Informatica giuridica. È uno della materia. La tratta, la studia, la vive. Eppure dice: «Non pensiamo che senza Facebook non sarebbe arrivato il quorum. È la gente, come quel fruttivendolo, che genera i cambiamenti. Certo, la rete è un ottimo focalizzatore di energie». Ripoldi, attore di 29 anni, è il volto del cortometraggio su Youtube «Il favoloso mondo di Pisapie». Satira stracliccata sulle dichiarazioni del centrodestra contro Pisapia e icona dell'internettiana campagna elettorale del neosindaco. Ammette Ripoldi: «Il web è spazio di democrazia che mi ha portato un pochino di pubblicità gratuita». Quanto a Ridet, è il corrispondente da Roma per il quotidiano francese Le Monde. Sta scrivendo «del successo dei referendum grazie a Facebook». E di come, spiega, il consenso non si conquista più (soltanto) con la televisione.


Ora, non sarebbe in corso nessuna rivoluzione. Almeno a leggere i numeri. Nonostante una certa crescita - 15 milioni di utenti Internet nel maggio 2007, 16 milioni nel novembre dello stesso anno, 19 milioni nell'aprile 2009, 25 milioni nel marzo scorso - l'Italia resta indietro. In Europa, secondo le stime dei ricercatori di Internet world stats, per percentuali di utenti del web rincorriamo una ventina di nazioni. Dall'Olanda all'Estonia, dalla Svezia alla Danimarca, dalla Slovacchia alla Polonia. Sarà perché siamo più vecchi? «Non è unicamente una questione d'età» dice Giancarlo Livraghi, 83 anni, già pubblicitario, scrittore e studioso della rete. In una sua ricerca si legge che, nel pubblico, il «segmento tradizionalmente più forte (25-44 anni) è la metà delle persone online. Una fascia più estesa, dai 25 ai 54 anni, è il 65% del totale. Rimane debole la diffusione della rete negli anziani ma si cominciano a notare miglioramenti». Fermo restando, giovani e meno giovani, un confine insuperabile: il confronto ineluttabile, e perdente, con i «nativi digitali».


I «nativi digitali» sono gli adolescenti. Quelli, spiega il professor Rossetti, «nati dentro il mondo della tecnologia. Non hanno dovuto imparare i nuovi strumenti. Ci hanno convissuto da subito. Per noi l'Ipad è una novità enorme. Per loro no». Sono il futuro, e bisogna farci i conti. Modificando radicalmente i sistemi di comunicazione? Alessandro Lazari, classe 1978, è avvocato esperto di diritto digitale. Dice Lazari: «Il fruitore di Internet può continuare a seguire i "vecchi canali" d'informazione che hanno esportato nel mondo del web gli stessi messaggi, giusti o sbagliati, precedentemente trasmessi per radio, giornali e televisioni. Oppure può scegliere di "cambiare canale". Usando Internet per cercare l'informazione senza filtri che, alla portata di tutti, compare su blog e portali indipendenti, sui forum, oppure sulla piattaforma più libera del momento che è Twitter». Eccoci a un nodo strategico. L'informazione. Francesco Siliato è docente di Sociologia della comunicazione al Politecnico di Milano: «Aumentano gli italiani che non credono più nella realtà raccontata dai telegiornali, una realtà giudicata in qualche modo distorta da convenienze e da amicizie politiche». Non che i telespettatori siano calati. «Utilizzano il piccolo schermo per distrarsi, guardare i film e i programmi generalisti».


Secondo un rapporto Nielsen, dal 2009 al dicembre 2010, in Italia su un totale di 24,7 milioni di navigatori attivi con in un mese una media di quasi 24 ore su Internet, le aziende inserzioniste sul web sono cresciute del 22,4%. Mentre i social network sono balzati al +10%. Facebook, appunto. Non più puro svago: bensì una risorsa. Sentite Luca Conti, esperto del settore: «Nel mondo oltre tre milioni di pagine ufficiali di Facebook sono state aperte da aziende per promuovere le proprie attività e dialogare con i clienti». Un boom. Però qualcuno è rimasto lo stesso al palo. Adam Arvidsson è professore di Sociologia della Statale di Milano. «In Italia il governo e, in generale, la destra non aveva colto la potenzialità dei new media. Al contrario di tanti politici esteri del medesimo orientamento». Giuseppe Civati, esponente del Partito democratico lombardo, ha un blog con un lungo elenco di lettori. Civati, la politica e il web: cosa ci racconta? «L'urgenza di un cambiamento sono stati sentimenti valorizzati dalla rete. Che ti fa sentire protagonista. Hai libertà di espressione, puoi commentare e dire cosa non ti piace».



La rete, la rete, la rete. Non più sedi di partito e le piazze. La mobilitazione avviene altrove. Anche se serve cautela. Riccardo Mangiaracina è il coordinatore dell'Osservatorio new media del Politecnico. Una premessa: «Interpretare il voto delle persone è difficile». Dopodiché, dice Mangiaracina, «il passaparola si è rivelato efficace». Rimane forse più rapido sui tempi... Uno studio della società specializzata Akamai su 72 Paesi ci fa sapere che sulla velocità di trasmissione del web siamo penultimi sul continente. Però gli italiani sono fra i primi a sferrare attacchi informatici in tutto il pianeta.

corriere.it

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