mercoledì 8 giugno 2011

Disabili e non autosufficienti, "anno nero” per l'Italia. Il Rapporto sui diritti globali 2011


Sono quattro le minacce che, in questo “anno nero”, sono piovute addosso alla non autosufficienza e alla disabilità. Alcune sono rientrate, per altre non c’è stato nulla da fare. A fare il punto sono i curatori del Rapporto sui diritti globali presentato a Roma. 
La prima e forse la più grave, quanto inevitabile, minaccia è la sparizione del Fondo per la non autosufficienza nel 2011: “400 milioni, già del tutto inadeguati, il cui mancato rinnovo andrà a pesare sui bilanci sociosanitari delle regioni”. E questo nonostante la Conferenza delle regioni avesse trovato la copertura, con “il risparmio ottenuto dal ministero dell’Economia dall’innalzamento dell’età pensionabile delle donne”.
La seconda, “parata per la forte opposizione sociale”, era quella del decreto legge n. 78/2010, che ha dato il via ai controlli Inps sull’invalidità e  che prevedeva un innalzamento della percentuale di invalidità all’85% (contro l’attuale 74%) per accedere a misure di sostegno, quali pensione di invalidità o assegno di accompagnamento. “La ratio: risparmiare i ben 256 euro per persona al mese” come riassumono i curatori. 
La terza minaccia, “parzialmente evitata grazie a un’intesa tra opposizione e Lega”, minava il principio dell’inserimento lavorativo delle persone disabili: “Il governo – si ricorda – aveva deciso, in deroga alla legge n. 68/99 sul collocamento obbligatorio dei disabili, che le aziende con 15 dipendenti fossero esentate dalla quota del 7% di assunzioni obbligatorie previste, con una perdita di posti di lavoro stimata in circa 20.000 per il 2011”. 
La quarta, infine, è la “caccia al falso invalido provocata da governo e Inps per risanare abusi e truffe, finisce con lo stigmatizzare e penalizzare chi invalido lo è davvero”. 

L’ITALIA DEL “WELFARE MERITATO” E LA FINE DELLA COESIONE SOCIALE - “Una crisi nuova si incardina in un welfare vecchio e pieno di limiti”. E l’Italia arranca. Il Rapporto sui diritti globali mette a nudo tutte le difficoltà del sistema nazionale, spossato da povertà incalzante, risposte inadeguate, crescita di individualismo. Accade così che, in uno scenario di difficoltà diffusa, il welfare non venga più percepito come un bene comune, bensì come un beneficio da meritare. Sì, dunque, ai servizi pubblici, ma a patto di una selezione e di una competizione per determinare chi “meriti” di accedervi. È la fine della coesione sociale, con l’ingresso in scena di quello che viene definito “il welfare meritato”: “Una quota importante di italiani non vuole che sia universalistico e che ne possano fruire soggetti ‘non meritevoli’. Si tratta dunque di un consenso ad excludendum” è scritto nero su bianco nel rapporto. Nasce così la società del rancore.


I problemi cui far fronte, d’altro canto, sono molti e tutti opprimenti. C’è il problema casa, con un aumento degli sfratti e delle difficoltà a pagare il mutuo. C’è l’incremento della povertà tra i minori, sempre più “invisibili”, tra gli operai  - i working poor – e tra i migranti. Ci sono le disuguaglianze sociali, che vedono l’Italia al sesto posto tra i paesi Ocse. L’annunciato e atteso federalismo municipale, dal canto suo, rischia di determinare un aumento delle disuguaglianze tra i comuni, mentre permangono le difficoltà di accesso al servizio sanitario nazionale, con il Fondo perequativo che innesca una “guerra tra rischi e poveri”. In tutto questo, cresce il ricorso alla “big society”, con il volontariato che sempre più si sostituisce allo stato.
Come si è arrivati a questo? In parte i dati relativi alla spesa pubblica chiariscono dov’è l’impasse: “Per la casa – si riferisce nel rapporto – l’Ue27 investe in media il 2,3% della spesa sociale, l’Italia lo 0,1%; su famiglia e maternità, la Ue27 è all’8%, l’Italia al 4,7%. Sostegno alla disoccupazione: nella Ue27 il 5,1% della spesa sociale, Italia l’1,8%. Meglio la spesa sanitaria, ma non a livello Ue27”. In tutto questo, la famiglia non riesce a tirare il fiato e la società frana.

AUTOSCATTO DI UN “PIANETA IN GUERRA”. RAPPORTO SUI DIRITTI GLOBALI 2011 - È un “pianeta in guerra” quello in cui viviamo. Guerra tra popoli, guerra per le risorse, guerra per il dominio e la ricchezza. In questo gioco al massacro il conto, salato, è pagato dall’ecosistema. Lo dice senza mezzi termini Sergio Segio, coordinatore del “Rapporto sui diritti globali”, in una lunga riflessione che più che altro è un’accusa alla “insostenibile pesantezza del modello dominante”.

L’analisi è spietata: parla di guerre fatte per smaltire arsenali obsoleti e per testarne di nuovi, riferisce di conflitti “esternalizzati” e affidati a mercenari, come se si trattasse di un lavoro in subappalto. In questi war games però la gente continua a morire e spesso le vittime sono civili: nel solo 2010 in Afghanistan se ne contano 2.777, mentre in Iraq dal 2003 sono caduti in 100 mila. Davanti a queste cifre suonano ancor più crudeli gli ossimori “guerre umanitarie” e “missioni militari di pace”. In realtà, dice Segio, “la guerra è solo una forma di colonialismo: non si combatte per gli ideali o la democrazia, si combatte per le risorse. E così facendo ci si dimentica delle altre emergenze e priorità”. “Se si bruciano enormi risorse per finanziare guerre, non ce ne sono per combattere la povertà”, spiega il coordinatore del rapporto, secondo cui, allo stesso modo, distruggendo le agricolture locali si rafforzano le multinazionali e restando ostaggio della finanza si impedisce quella riconversione ecologica necessaria quanto improrogabile. E ancora: “Se si bombarda la Libia e non si sostiene la democratizzazione è inevitabile che si incentivino le ondate di profughi”.

In tutto questo l’Italia non fa una bella figura: ai conflitti contribuisce producendo, ad esempio, quelle armi impiegate in Libia, targate Finmeccanica. E poi si lamenta dell’arrivo dei profughi, dando corda a quelli che Segio bolla come “professionisti dell’egoismo e del rancore” e credendo alla “eterna bugia dell’aiutiamoli a casa loro”. Non si fa neanche più lo sforzo di indignarsi davanti alle migliaia di vittime del mare. Anche se, fortunatamente, ci sono “proliferazioni spontanee” di altruismo e solidarietà. Intanto, il paese è ostaggio della “bulimia penitenziaria” e messo alla prova dalla “macelleria sociale” che ha portato tagli del 78% agli investimenti sociali. Di strade percorribili, eppure, ce ne sarebbero, come la lotta seria all’evasione fiscale, la tassa sulle transazioni finanziarie e quella sulle ricchezze.

Non resta quindi che lanciare un avvertimento e una richiesta. Il primo: “Ciò che avviene oltre il Mediterraneo dovrebbe porre qualche riflessione sull’intollerabilità dell’ingiustizia sociale e della povertà di prospettive per le nuove generazioni”. La richiesta: “Restiamo umani” come voleva Vittorio Arrigoni. Il Rapporto è realizzato da Associazione SocietàINformazione e promosso da Cgil, Arci, ActionAid, Antigone, Cnca, Fondazione Basso–sezione Internazionale, Forum Ambientalista,  Gruppo Abele, Legambiente, Vita.



Fonte: http://affaritaliani.libero.it/sociale/rapporto_diritti_globali080611.html

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