Non appare inutile ricordare infine come l'abolizione del valore legale del titolo di studio fosse il primo punto previsto fra i provvedimenti economico-sociali del Piano di Rinascita Democratica della Loggia P2.
La proposta di abolire il valore legale dei titoli di studio ha un andamento carsico: emerge, per un po’ scompare, poi riemerge, scompare di nuovo, ma trova sempre nuovi sostenitori che la rilanciano con l’entusiasmo dei neofiti.
Sarà per questo che piace ai giovani. Era giovane Giorgio Benvenuto, da poco diventato segretario generale della Uil (1976), quando provò a parlarne in un convegno, subito sommerso da un coro di dissensi provenienti dagli altri sindacati confederali, da buona parte del mondo politico e da quasi tutti i costituzionalisti.
E giovani sono i due personaggi che nei giorni scorsi hanno riproposto l’idea: Jacopo Morelli, neoeletto presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria, che nel tradizionale convegno di Santa Margherita della sua organizzazione ha inserito l’abolizione del valore legale dei titoli (si riferiva soprattutto all’università) tra le quattro proposte per far sì che i giovani non diventino una “generazione esclusa”, accanto alla revisione del sistema pensionistico, al taglio delle tasse sui giovani e alla soppressione dell’Irap.
Sulla richiesta di Morelli si è dichiarato d’accordo il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, invitato al dibattito del convegno, che non ha perso l’occasione per consolidare la sua immagine di giovane ‘rottamatore’. La giustificazione offerta per rottamare il valore legale non è nuova (risale almeno alle ‘Prediche inutili’ di Luigi Einaudi, 1959), perché si fonda sull’obiettivo di creare una concorrenza virtuosa tra le università anche per attrarre più studenti dall’estero.
Vedremo se anche questa volta la proposta finirà nel dimenticatoio oppure se sarà destinata ad aver migliore fortuna, magari intrecciandosi con il dibattito in corso a livello internazionale sulle competenze e sulla loro certificazione.
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