martedì 17 maggio 2011

UN CAMION VOLKSWAGEN INVESTE MARCHIONNE: VERA INDUSTRIA CONTRO VERA FINANZA

Massimo Mucchetti per il "Corriere della Sera"


IVECO
L'offerta pubblica d'acquisto di Volkswagen sul produttore di autocarri Man è stata considerata in Italia come un affare soltanto tedesco. Ma così non è. Acquisendo il controllo di Man, la casa automobilistica di Wolfsburg, che già possiede la maggioranza della svedese Scania, cerca di costruire un gruppo vero e proprio, di estrarre tutte le sinergie nei costi e nella ricerca per puntare al primato nei camion pesanti, i più ricchi di valore aggiunto. Auto e camion assieme, dunque. Una scalata imperiale all'intero mondo delle ruote costruita con teutonica tenacia anno dopo anno.

Quest'Opa lancia una sfida diretta al raggruppamento franco-svedese Renault-Volvo e ai compatrioti di Mercedes, ma avrà anche un vasto riflesso su Fiat Industrial, che controlla Iveco, forte nei veicoli industriali leggeri, assai meno in quelli di più grande stazza, e comunque un giacimento di sapere tecnologico importante per l'Italia.


LOGO VOLKSWAGEN
L'impegno crescente di Volkswagen nei camion dovrebbe suggerire la revisione del giudizio corrente sulla scissione del gruppo Fiat nella Fiat Spa, centrata sull'auto, e nella Fiat Industrial, che riunisce le macchine agricole e movimento terra di Cnh e i veicoli industriali di Iveco. I grandi dell'auto- è il messaggio- fanno anche i camion.

Chi, come Volkswagen era presente solo nelle quattro ruote, vi ha posto ampio rimedio. Quale sia il vero travaso tra i due comparti è materia su cui gli ingegneri possono discutere. Certo è che anche Fiat ha sempre tenuto il piede nelle due scarpe. E oggi è più facile sbarcare nei mercati emergenti con entrambe le produzioni anziché con una sola. La scissione di inizio 2011 sembra dunque qualificarsi come operazione finanziaria più che industriale.


Non per questo può dirsi sbagliata in assoluto. Il sospetto che i margini di Iveco e Cnh tamponassero le falle di Fiat Auto ha accompagnato gli ultimi 15 anni del gruppo. Lo stesso Sergio Marchionne ha promesso che l'auto non avrebbe più avuto un euro di nuovo capitale. La scissione ha avuto il merito di dare a ciascuno il suo. Ma che cosa si vede adesso meglio di prima? Che la «madre» Fiat Auto è irresistibilmente attratta dalla «figlia» Chrysler e che la Fiat Industrial è una holding che difficilmente potrà fare di Iveco e Cnh le locomotive di un lungo convoglio.


MARCHIONNE
Cos'è oggi Iveco? Un produttore specializzato, buono per completare la gamma dell'offerta altrui: un vagone pregiato. È arduo pensare che possa fare grandi conquiste. E Cnh? Data la sua posizione di mercato, non può comprare né essere comprata da concorrenti come John Deere e Alco: problemi antitrust. Potrebbe attirare i re del movimento terra, più Caterpillar che Hitachi, ove decidano per un'espansione laterale nelle macchine agricole.

Ma i fondi di private equity sono sempre in agguato. Morale: se la scissione non servirà alla crescita dei marchi italiani, vuol dire che potrebbe metterli nelle condizioni di essere meglio riallocati in mani estere. Il che può essere ottimo per i soci Fiat, mentre meno sicuro è il vantaggio per il Paese. Che, intanto, si distrae con Parmalat.

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