La “scossa riformista”, il modello Unione da evitare, la convergenza con D’Alema
“In effetti quando l’ho letta…”. Lo spunto da cui nasce questa chiacchierata con l’ex segretario del Partito democratico Walter Veltroni arriva due giorni fa, dopo aver letto un passaggio di una gustosa intervista concessa da Massimo D’Alema al quotidiano la Repubblica. Un passaggio in cui l’ex presidente del Consiglio, alla fine di una lunga riflessione sugli orrori del berlusconismo, ammette che l’unico modo che il Pd ha oggi per costruire una vera alternativa al governo di centrodestra non è quello di puntare tutto sulla mera somma numerica di un’indeterminata quantità di partiti (la famosa formula del “chi ci sta ci sta”) ma quello, piuttosto, di elaborare “una grande proposta di governo, che miri a unire il più ampio schieramento democratico possibile, su cui dovranno misurarsi inevitabilmente tutti gli altri partiti dell’opposizione”. Un ragionamento non solo molto diverso dalla solita implorazione di una grande, gigantesca, stratosferica “Santa alleanza” per cacciare il tiranno di Arcore ma anche perfettamente compatibile con quella vecchia espressione, non molto fortunata a dire la verità, che è stata per molto tempo il cuore dell’esperienza veltroniana alla guida del Pd: la famosa vocazione maggioritaria, la famosa ambizione del Pd a essere non tanto una parte di una grande costellazione di infinite alleanze ma, più semplicemente, la vera grande guida delle forze dell’opposizione. E la nostra chiacchierata con Veltroni comincia proprio da qui. “Io – dice Veltroni – non rinnego nulla, ma proprio nulla, della mia esperienza alla guida del Pd e credo ancora che la vecchia idea di rivolgerci a un elettorato che vada ben al di là del bacino di voti che un tempo raccoglievano Margherita e Ds sia davvero l’unica rotta sulla quale valga la pena di far viaggiare il barcone democratico. Il nostro partito, nonostante tutto, vale ben più di quel 27-28 per cento che oggi ci attribuiscono i sondaggi e se non perderemo tempo resto convinto che il sogno di conquistare, nel futuro, qualcosa come il 40 per cento dell’elettorato italiano non sia affatto una follia. E badate bene, non è una missione impossibile: bisogna solo decidere se continuare a rimanere comodi nel nostro porto, immaginandoci sicuri, oppure se farci un po’ di coraggio e avventurarci, una volta per tutte, nel grande mare aperto. Ma per farlo, secondo me, prima bisogna mettere in chiaro alcune cose. Perché per poter affrontare bene Berlusconi, e per riuscire a mettere un punto a questa disastrosa esperienza di governo, noi tutti non dobbiamo dimenticare quali sono gli ingredienti vitali dell’esperienza del Pd. Ingredienti senza i quali, per capirci, il Pd credo contraddica la sua stessa ragione di nascita”.
I quattro punti, Renzi e il caso Ciancimino
Primo punto: “Mi chiedo come si faccia a non capire che sognare di ripetere in qualsiasi forma la disastrosa esperienza dell’Unione sia come darsi una martellata in mezzo alle gambe, come ammettere che la formula politica per andare al governo sia ben più importante della stessa stabilità futura di quel governo. Non è accettabile, secondo me. E non bisogna essere certo degli scienziati per immaginare che cosa succederebbe oggi, al centrosinistra, se fossimo alla guida del paese, come Unione, e se ci trovassimo a discutere di Libia: sarebbe quella sì una missione impossibile. Per avviare un vero nuovo ciclo politico serve altro: serve sfidare i conservatorismi radicati, l’abitudine all’immobilismo e le degenerazioni morali. Questo serve, non l’Unione”. Secondo punto: “Altra cosa importante da ricordare: il nostro partito, io credo, ha un senso se opera all’interno di un contesto bipolare, all’interno di un sistema che non punta né a disgregare i partiti né al bipartitismo ma che mira a rafforzare quelli più grandi perché questa è la condizione della stabilità. So che questa è un’impostazione che anche a sinistra viene spesso vista con sospetto ma io resto convinto che l’ambizione di un grande, grandissimo partito come il nostro debba essere quella di lavorare per un contesto di quel tipo. E io, personalmente, al bipolarismo non mi sento di poter rinunciare. Anche perché abbiamo davanti sfide di risanamento e di crescita tali da non poter andare avanti con i governi alla Scilipoti”.
Terzo punto: “Credo, per continuare, sia anche necessario ricominciare a impostare il percorso del nostro partito non andando continuamente a guardare indietro nel passato ma andando più che altro a capire, e a scoprire, come si è andata a ristrutturare la società di oggi e come si è andato a evolvere l’elettorato italiano. Siamo una società frammentata e liquida e il partito deve capirlo e adeguarsi di conseguenza: e pensare di prepararsi a combattere oggi o domani una sfida con il centrodestra senza aver capito che il Pd non può essere una copia sbiadita dei partiti degli anni 70 è un grave errore politico”. Quarto e ultimo punto, le primarie: “Io sono orgoglioso di aver presentato un disegno di legge votato a far diventare le primarie uno strumento imprescindibile della vita politica del nostro paese. So che non sarà facile – perché si sa: nei partiti sono più comodi gli accordi tra correnti – ma sono convinto comunque che quella dei gazebo sia stata negli ultimi anni una delle più belle novità politiche del nostro paese: provare a inserire quello strumento nel Dna italiano credo che sia doveroso sia per la salute del nostro impianto democratico sia per evitare che nel futuro accadano scene disgraziate come quelle che abbiamo visto pochi mesi fa a Napoli, dove il Pd è stato costretto ad annullare le primarie a cui, non dimentichiamolo, avevano partecipato qualcosa come 44 mila persone. Perché se qualcuno non l’avesse capito, le primarie, per il Pd, sono e restano un elemento fondamentale della vita del nostro progetto e della nostra identità”.
Concluso il ragionamento sulle difficoltà incontrate in questi anni dal Pd nel definire con esattezza i tratti principali della sua identità culturale, la chiacchierata con Veltroni sfiora altri due temi sui quali l’ex segretario sembra avere voglia di parlare. Il primo tema riguarda il futuro della legislatura e le possibili opzioni che si potrebbero aprire, secondo Veltroni, qualora le elezioni del prossimo maggio dovessero concludersi con un risultato negativo per il centrodestra. “Io, come ho già spiegato nella lettera scritta con Beppe Pisanu qualche giorno fa sul Corriere della Sera, sono convinto che sia importante fare tutti gli sforzi necessari per girare pagina in questo paese rissoso e immobile; e il clima di radicalizzazione che sta già degenerando in violenza, come abbiamo visto a Napoli con il caso Lettieri e con le apologie di fascismo il 25 aprile, ci conferma questa esigenza. L’Italia deve uscire da questo quindicennio e io penso che Berlusconi oggi impedisca al paese di respirare. Io non sono tra quelli che avrebbero paura ad affrontare oggi le elezioni, perché so che il Pd avrebbe tutte le carte per vincerle, ma sono convinto che la strada giusta per migliorare nel breve termine le condizioni del nostro paese non sia quella di andare subito a votare ma sia, piuttosto, quella di lavorare per dar vita a un governo di decantazione – e non un ribaltone, per carità! – in cui riscrivere come prima cosa la legge elettorale. Certo: se le elezioni per il Pdl dovessero andare male, e se la maggioranza avesse il coraggio di mettere alla guida del governo una qualsiasi altra persona diversa da Berlusconi, credo che l’atteggiamento del Pd nei confronti dell’esecutivo sarebbe molto ma molto diverso; credo che si potrebbe iniziare a collaborare; e credo che si potrebbe provare anche a riscrivere insieme le regole del gioco. Noi, anche in questi mesi, stiamo offrendo il nostro contributo, abbiamo proposto delle leggi importanti come quella del senatore Pietro Ichino per riformare il mercato del lavoro, ma non mi sembra che dall’altra parte arrivino segnali in alcun modo incoraggianti. Il Pd il suo contributo lo sta dando, ma costruire oggi un dialogo con la maggioranza, francamente, mi sembra impossibile”.
E se non dovesse andare bene?
E se invece le elezioni per l’opposizione dovessero andare male che cosa succederebbe nel Pd? Ci sarebbe da convocare un congresso? Si dovrebbe rimettere in discussione la leadership di Bersani? Veltroni ci va cauto e la mette così. “A prescindere da come finiranno le elezioni – e la chiave di tutto, per capire se le cose andranno bene o male, saranno naturalmente i casi di Napoli e Milano – io credo che dopo il 16 maggio sia opportuno aprire con il segretario Bersani una discussione seria per capire se il percorso scelto dal partito è quello giusto. Noi abbiamo le nostre idee, le nostre convinzioni e le nostre proposte, e quando arriverà il momento naturalmente non mancheremo di esporle. Ma di qui a convocare un congresso, beh, non penso che sia ancora il caso parlarne. Diciamo che si vedrà alla luce della situazione politica”.
Quanto al futuro del Pd, Veltroni non ci aiuta a capire fino in fondo se nei prossimi mesi intenderà giocare un ruolo da semplice king maker oppure sceglierà di scendere nuovamente in campo per provare a ridare al partito quella “scossa riformista” di cui l’ex segretario sembra sentire urgentemente il bisogno. Ma alla fine della chiacchierata l’ex sindaco di Roma qualche suggerimento su ciò che farà nel futuro ce lo offre comunque. “Io non so cosa succederà nei prossimi mesi, so solo che sarà importante che nel futuro prossimo siano coinvolti sempre di più nel progetto del Pd tutte quelle persone di qualità che potrebbero dare una mano al partito e che, indiscutibilmente, giocheranno una partita importante per il domani del Pd. Penso naturalmente a gente come il sindaco di Firenze Matteo Renzi, come il presidente della provincia Nicola Zingaretti e come Sergio Chiamparino ma penso anche a tutte quelle personalità che non sono direttamente riconducibili al mondo della politica e che non aspettano altro che avere la propria occasione per dare un grande contributo al progetto del centrosinistra. E credetemi: di persone che sognano di aiutare il centrosinistra riformista a risorgere in giro ce ne sono davvero tante”.
La nostra conversazione con Veltroni si chiude con un breve accenno a un tema che non riguarda direttamente le prospettive future del centrodestra e del centrosinistra ma che riguarda piuttosto un argomento che, da membro della commissione Antimafia, in questi giorni ha fatto molto riflettere l’ex leader del Pd. Naturalmente parliamo del caso, clamoroso, delle patacche rifilate in questi mesi da Massimo Ciancimino alla procura di Palermo. “Mi ha davvero colpito il caso Ciancimino – ammette Veltroni – e ribadisco quanto ho sempre pensato: le dichiarazioni rese dai pentiti e dai collaboratori di giustizia non vengano utilizzate senza essere prima accuratamente verificate. In passato, per quanto mi riguarda, mi sono ritrovato una volta ad avere a che fare anche in televisione con Massimo Ciancimino e lo dissi allora in diretta e lo ripeto oggi senza alcuna paura. I pentiti e i collaboratori di giustizia sono uno strumento fondamentale della macchina della giustizia ma le loro parole non possono essere considerate ‘verità assolute’ solo perché fanno comodo a qualcuno, spesso a intermittenza a seconda della convenienza politica. Non capita sempre, bisogna essere onesti, ma quando capita credo sia giusto farlo notare come si deve”.
Fonte: FACEBOOK
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