domenica 8 maggio 2011

LA TECNOLOGIA SONY, APPLE E GOOGLE, E LA NOSTRA PRIVACY

I giganti della tecnologia Sony, Apple and Google hanno tutti affrontato grandi scandali nelle settimane recenti che sollevano una serie di domande che riguardano la privacy nell’era digitale. L’iPhone di Apple è stato progettato per tenere segretamente traccia dell’ubicazione dell’utente senza che ne sia a conoscenza, e lo stesso vale per il sistema Android di Google per gli smartphone.

PlayStation Network di Sony ha reso noto al pubblico il proprio record di più di 100 milioni di clienti. Parleremo con Mark Rotenberg, direttore esecutivo dell’Electronic Privacy Information Center che nota, in aggiunta all’invasione della privacy, che queste aziende private stanno in sostanza facendo meglio del governo per quanto concerne la pubblica sorveglianza, creando una registrazione personale dettagliata che potrebbe essere poi utilizzata dalle forze dell’ordine.


JUAN GONZALEZ: I giganti della tecnologia, Sony, Apple e Google, nelle ultime settimane sono stati tutti coinvolti da grandi scandali che sollevano una serie di questioni riguardo la privacy nell’era digitale. Giovedì, l’Amministratore delegato di Sony, Howard Stringer, si è per la priva volta scusato a causa della rottura della sicurezza su PlayStation Network che ha esposto i dati personali di oltre 100 milioni di clienti.

Nel frattempo, Apple sta ancora rispondendo delle conseguenze della scoperta che il suo popolare iPhone è stato progettato per tenere segretamente traccia dell’ubicazione dell’utente e per immagazzinare le informazioni sull’apparecchio per un anno, senza che chi lo sta usando ne sia a conoscenza. Ancor prima, durante la settimana, Apple ha rilasciato un nuovo software che riduce la quantità delle informazioni che riguardano l’ubicazione dell’apparecchio.

AMY GOODMAN: Google è sotto osservazione per alcuni dei suoi prodotti, tra cui il sistema Android che registra il luogo di utilizzo degli utenti degli smartphone.

Si unisce a noi qui a Washington, Marc Rotenberg, direttore esecutivo dell’Electronic Privacy Information Center.

Le rivelazioni nelle scorse settimane – iniziando dall’iPhone, sono proprio notevoli.

MARC ROTENBERG: Sì, è incredibile, Amy. Quello che stiamo imparando è che le aziende, che stanno raccogliendo queste informazioni sensibili, non hanno fatto proprio un bel lavoro per tutelarle. E, in qualche caso, le brecce sono senza precedenti. Quella di Sony, per esempio, riguarda 100 milioni di utenti dei loro servizi di rete.

AMY GOODMAN: Ci può spiegare esattamente cosa stava facendo Apple? Ci spieghi il programma. Ci spieghi quali sono le informazioni che gli iPhone registrano riguardo i nostri spostamenti.

MARC ROTENBERG: Bene, la situazione si sta già facendo complessa. Ma, in termini semplici, negli ultimi due anni molte persone hanno apprezzato il valore dei dati che indicano la propria ubicazione. E tra questi ci sono, naturalmente, gli utenti di questi apparecchi. Ti piace sapere dove ti trovi. Ora tutti i cellulari hanno un servizio GPS, o almeno gli smartphone ce l’hanno, che ti permette di individuare la tua posizione. Ma questo ha un valore anche per i pubblicitari, perché ci sono persone che sono interessate nel consigliarti un ristorante in base alla tua ubicazione.

E circa un anno fa, quando Apple stava lavorando allo sviluppo della sua nuova versione del software che avrebbe abilitato queste applicazioni, pensarono a lungo alle implicazioni sulla privacy. Credo che hanno fatto un buon lavoro solo in parte. Volevano che gli utenti sapessero che i loro dati venivano immagazzinati, quelli relativi ai luoghi, e che sarebbero stati comunicati a altre aziende che li avrebbero potuti usare per le applicazioni. Hanno inserito alcune nuove opzioni sugli apparecchi. Hanno sempre parlato dell’importanza della protezione della privacy.

Quello che gli è sfuggito, comunque, era che l’apparecchio in sé stava immagazzinando tutte le informazioni associate all’ubicazione dell’utente. E stava, in effetti, costruendo questa tabella gigantesca basata sugli hotspot Wi-Fi e sulla collocazione dei trasmettitori per i cellulari, per mezzo dei quali Apple è capace di determinare dove si trovi il telefono. Ora, quelle informazioni non si sarebbero dovute mai trattenere.

La storia prende una piega peggiore, perché proprio la modalità di progettazione fa in modo che le informazioni venivano salvate sul PC dell’utente quando l’apparecchio veniva sincronizzata al computer. Venivano archiviate in una forma non criptata e ciò vuol dire che chiunque avrebbe potuto prelevarle. E quando due ricercatori, solo poche settimane fa, hanno capito questo, hanno realizzato una brillante visualizzazione dei dati, permettendo in modo semplice alle persone di vedere sullo schermo tutte le informazioni che Apple possedeva su di loro per poter tracciare l’ubicazione dei loro apparecchi negli ultimi due anni, allora, in quel momento, l’allarme è scattato. Penso che quello sia stato l’apice, un momento significativo per l’industria riguardo questi aspetti della privacy.

JUAN GONZALEZ: E dove venivano archiviati, solo sui cellulari e i computer, o erano anche trasmessi in una qualche maniera e immagazzinati dalla stessa Apple?

MARC ROTENBERG: Esatto. Anche questo è una parte molto importante della storia. Una delle cose che Apple e Google e altri stanno facendo è cercare di costruire un’enorme mappa delle ubicazioni degli hotspot Wi-Fi e dei trasmettitori per i cellulari negli Stati Uniti e in tutto il mondo. Fanno questo perché effettivamente rende il servizio un po’ più efficiente. Inoltre le solleva dal dover pagare altre compagnie per avere quelle informazioni. E così tengono simultaneamente traccia dell’ubicazione dell’utente che l’apparecchio è in grado di rilevare, la inseriscono nei loro database così da avere un quadro più definito delle posizioni di tutti questi hotspot per permettere ai loro clienti di connettersi.

Ma credo che ci sia un altro aspetto della privacy di cui non è stato parlato abbastanza, ma che richiede comunque una certa attenzione. Alcuni di questi hotspot Wi-Fi possono essere avere presupposte commerciali. Ci possono essere dei coffee shop e altri luoghi che stanno offrendo al pubblico l’opportunità di essere online. E sono ovviamente pubblici. Non credo che ci sia un problema nel raccogliere questi dati. Ma alcuni di questi hotspot sono in effetti dei router di residenze private che le persone realizzano in casa propria, una rete wireless per collegare un ufficio, una cucina e una stanza da letto. Non credo che la maggior parte delle persone si aspetti che questo tipo di informazioni vengono raccolte da queste aziende, ma poi è quello che è successo negli ultimi due anni. E credo che anche questo meriti una qualche attenzione.

JUAN GONZALEZ: E allora, ovviamente, c’è allora la possibilità da parte del governo di ottenere queste informazioni se volesse indagare…

MARC ROTENBERG: Sì.

JUAN GONZALEZ: ...i possibili spostamenti di chiunque stia usando un iPhone o un cellulare Android, giusto?

MARC ROTENBERG: Sì. Bene, credo che ci sia un altro aspetto critico, perché molte persone che parlano di privacy su Internet e sulle nove tecnologie hanno la tendenza di tracciare una linea netta tra le attività del governo e quelle del settore privato, e semplicemente assumono che il settore privato non abbia una grande importanza in materia di sorveglianza. Ma io credo che quello che abbiamo visto negli ultimi due anni è proprio l’esatto opposto. In altre parole, il settore privato, attraverso la progettazione di questi apparecchi, può fare molta parte del lavoro di sorveglianza di solito svolta dal governo. Sarebbe stato impossibile, ad esempio, per il governo costruire il tipo di archivi che si stanno costruendo oggi nel settore privato sui dati delle ubicazioni. E, naturalmente, una volta che questi database sono stati costruiti, allora si possono realizzare delle perquisizioni, un mandato di cattura, forse una lettera dalla national security. Ma ci sono varie tecniche che il governo adotta per aver accesso a quei dati e ciò costituisce parte della ragione per cui tutti crediamo con fermezza che queste aziende dovrebbero ridurre al minimo la raccolta di dati personali. Dovrebbero semplicemente tenere meno informazioni sul modo in cui le persone usano questi apparecchi.

AMY GOODMAN: Marc Rotenberg, un dibattito si terrà a Capitol Hill. Abbiamo solo dieci secondi, ma cosa ne pensa della PlayStation e di Sony che non ha rivelato che i 100 milioni loro utenti avevano le loro informazioni sulle carte di credito, sulla loro privacy, totalmente esposte e non glielo hanno comunicato per più di una settimana? Ha circa dieci secondi per rispondere.

MARC ROTENBERG: Un’altra storia straordinaria. Credo che la questione importante è che c’è parecchio da fare per responsabilizzare le compagnie che offrono questi servizi nel proteggere la privacy. È un qualcosa che oggi il consumatore, l’utilizzatore di Internet non è in grado di fare da solo.

AMY GOODMAN: Marc Rotenberg, la vogliamo ringraziare voi dell’Electronic Privacy Information Center per essere stati con noi.

MARC ROTENBERG: Prego.

Fonte: http://www.democracynow.org

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