giovedì 26 maggio 2011

GAZA ASSEDIATA: LA TESTIMONIANZA DI UN CHIRURGO

DA silviacattori.net

"Cronache di Gaza 2001-2011" è uno di quei libri scioccanti che non lasciano indifferenti. In un susseguirsi di capitoli molto brevi, l'autore, il chirurgo francese Christophe Oberlin, rivela a poco a poco, con un linguaggio semplice e sobrio, la commovente umanità di un popolo e il coraggio con cui affronta l'assedio imposto dall'occupazione coloniale di Israele con la vile complicità della comunità internazionale e dei nostri principali mezzi d’informazione. Nessuna retorica, ma un ripetersi di fatti e di esperienze a contatto con le persone oggetto di violenza per rivelarci la loro terribile realtà quotidiana. Christophe Oberlin risponde alle domande di Silvia Cattori.

Silvia Cattori: Il suo racconto è molto coinvolgente [1]. Ci fa entrare nella quotidianità di queste famiglie sotto assedio, sottoposte a difficoltà di ogni genere, in grado di sopravvivere e di ricostruire con uno sguardo al futuro, qualsiasi Israele faccia loro. Sappiamo che non appena lei è arrivato a Gaza nel dicembre 2001, è rimasto incredulo di fronte agli aerei dell'esercito israeliano che volavano a bassa quota oltre la la barriera del suono, che sganciavano bombe sulla popolazione inerme. Sono passati dieci anni da questo primo contatto con la violenza, cosa è cambiato nel suo punto di vista?

Christophe Oberlin: Ciò che è cambiato è che oggi faccio una correlazione tra quello che vedo qui a Gaza e quello che ci dicono i nostri media e i nostri politici. Il loro modo con cui presentano i fatti corrisponde raramente a quello che vedo io. Tutto ciò mi ha irritato e poi ho disdetto l’abbonamento a certi giornali. Ho smesso di leggere e di ascoltare le informazioni alla radio e alla televisione. Preferisco l'informazione di qualità attraverso altre fonti.

Silvia Cattori: Capiamo che il chirurgo, venuto a Gaza per salvare vite umane, quasi subito si è trovato di fronte a tanti corpi mutilati e questo l'ha portato a riflettere sullo sfondo politico di tutto questo spargimento di sangue. Testimoniare ciò che lei ha visto, correggere l'informazione parziale dei nostri imedia non era forse un modo per rendere giustizia e restituire dignità a questo popolo?

Christophe Oberlin: È molto chiaro, è per questo che da anni reagisco, scrivo piccole testimonianze e accetto di tenere delle conferenze. Per decenni sono andato in altri paesi a lavorare senza mai sentire il bisogno di esprimermi. Ma quando si scopre che gli eventi vissuti vengono totalmente distorti, allora mi arrabbio. Dopo l'aggressione israeliana del 2008-2009 sono stato invitato in una trasmissione televisiva di France 24 per parlare della mia esperienza a Gaza. La trasmissione era intitolata: “Ci sono stati crimini di guerra a Gaza?” La domanda era del tutto fuori luogo e portava a domandarsi se i morti e i feriti erano combattenti oppure no. Essendo sul posto ho potuto vedere che c’erano esclusivamente civili e intere famiglie. Questa è disinformazione che ci porta inevitabilmente a prendere la parola per dire quello che realmente è accaduto. È chiaro che per i mezzi di comunicazione la censura è la regola, un’autocensura e non sono interessati a quello che dicono o scrivono i testimoni.

Silvia Cattori: Nelle sue pagine incontriamo personaggi strazianti, come il chirurgo Fayez. Siamo sconvolti dal vedere, attraverso il suo percorso, che questo popolo costantemente perseguitato, non ha comunque odio o risentimento contro i suoi oppressori. È sorprendentemente ottimista; secondo lei, da dove trae la forza per mantenere questa straordinaria vitalità e umanità?

Christophe Oberlin: Credo che questo faccia parte delle caratteristiche dell’umanità. Tutti coloro che hanno vissuto all'inferno ci raccontano cose simili. Primo Levi ce ne dà un esempio. Ognuno di noi ha una capacità di resistenza assolutamente straordinaria che si manifesta in condizioni estreme. Non è una particolarità di Gaza. A mio parere non ci sono popolazioni che resistono più di altre. Ma è pure vero che la forza e la resistenza testimoniata dalla gente di Gaza è ammirevole. A proposito di Fayez, mi ricordo una mattina quando era molto avvilito e mi ha detto di sfuggita: “Ho passato una brutta notte. Mia cognata è morta per un tumore al seno. Non sapevo come dirlo a mia moglie."
Nei nostri paesi dell'Occidente abbiamo i mezzi per individuare questi tumori e per salvare la maggior parte dei pazienti. A Gaza no. La semplicità con cui queste persone assediate vi parlano della loro quotidianità, ancora più atroce a causa delle malattie che non possono curare, è una lezione per tutti noi.

Silvia Cattori: Con quali postumi usciranno da questa situazione, in special modo i bambini?

Christophe Oberlin: Possiamo essere sorpresi dal fatto che non ci sia un numero più alto di persone che perde la ragione. Ho parlato con Maryvonne Bargues, un medico psichiatra che per anni ha fatto un ottimo lavoro con le famiglie che vivono nelle difficoltà, ammucchiate in dieci metri quadrati, con i bambini che hanno genitori gravemente feriti o uccisi. Il risultato è incredibile. Nonostante le condizioni di vita terribili, ci sono recuperi psicologici sorprendenti. Se oggi andate a piedi per le strade di Gaza, alla fine di una settimana di bombardamenti che hanno causato morti e feriti, avrete l’impressione di una popolazione che vive in pace.

Silvia Cattori: La sua descrizione delle personalità di Hamas che ha conosciuto sono molto positive. Sappiamo che ha stabilito rapporti di fiducia reciproca con queste persone che, malgrado le tragedie che hanno vissuto, sono rimasti pienamente umani. Il ritratto che lei fa del chirurgo e leader politico, Mahmoud Khalid Al-Zaha, ad esempio, è impressionante. Questo contrasta nettamente con l’immagine grezza, a volte pessima, che ci viene costantemente trasmessa. Vedendo la caricatura che ne fanno i giornalisti che, come te, hanno avuto la possibilità di incontrarli, cosa che l'ha ispirata?

Christophe Oberlin: Ero e rimango sconcertato. In realtà si dovrebbe sapere che i pochi giornalisti occidentali che si recano a Gaza hanno necessariamente l'accredito delle autorità israeliane. Per me il criterio per l'accreditamento [2] è chiaro: i giornalisti accreditati sono quelli che assicurano agli israeliani di denigrare tutto ciò che fa Hamas. Detto questo, ho avuto l’occasione di osservarli di nuovo. Non ho mai visto a tutt'oggi un giornalista, autorizzato a entrare a Gaza attraverso il valico di Erez, scrivere un articolo descrivendo con oggettività quello che è stato realizzato sotto l'amministrazione di Hamas.

Silvia Cattori: Questo costringe a interrogarci sui pregiudizi di questi ideologi che, dall'interno del movimento di solidarietà e non gradendo i 'barbuti', hanno privilegiato il campo dei 'laici', di questa Autorità Palestinese moderata che loro ritengono essere l'unica rappresentante legittima del popolo palestinese [3]. Le hanno rivolto rimproveri e le hanno chiesto spiegazioni sulla Carta di Hamas, che loro descrivono come antisemita [4]?

Christophe Oberlin: Purtroppo le cose non mi vengono riferite di persona. Mi dispiace perché è più interessante cercare di convincere coloro che non la pensano come te! Molto semplicemente, quelli che non sono d'accordo con quello che dico o scrivo, non mi invitano. All'interno del movimento di solidarietà, il modo di contrastare coloro che riferiscono cose positive sulla gestione politica di Hamas è quello di emarginarli. In fin dei conti, a loro volta il modo di comportarsi non è molto diverso da quello tenuto dai media.
uttavia sono regolarmente invitato a tenere conferenze in provincia. Qui gli attivisti hanno una certa indipendenza da Parigi, il quartier generale del movimento. Mi fanno presente che mi invitano perché sono interessati a conoscere tutti i punti di vista, pur sapendo che i loro dirigenti non mi apprezzano. Attraverso questi incontri pubblici mi rendo conto che, quando gli vengono descritti i fatti e vi sentono di buona fede, allora vi credono. Nelle "Cronache di Gaza" racconto solamente i fatti per quello che sono, le scene che ho vissuto con il minimo di valutazioni personali. Penso che i fatti parlino da soli, a ognuno spetta trarne le conclusioni.

Sulla Carta di Hamas. Io non ho cercato di diventare un esperto in materia, ma si scopre che, dal 2001, dopo ogni mio ritorno da Gaza, mi è stato chiesto di parlare di quello che accade. Da una conferenza all’ altra mi fanno ulteriori domande e questo ti costringe ad approfondire le conoscenze. Mi ha portato a chiedere ai miei interlocutori a Gaza una spiegazione sulla questione della Carta di Hamas, alcune parti della quale aspetti sono da noi a giusto titolo considerati inaccettabili. Mi è stato risposto che questa Carta, che risale al 1988, è stata scritta da alcune persone. Che Hamas da allora è diventato un partito politico e che dal 2006, ad ogni scadenza elettorale, è stato stilato un programma che poteva essere consultato. E che, di conseguenza, quella Carta non aveva più valore.

Detto questo vorrei dare maggior spazio al dibattito. Questo modo di riferirsi sempre all'accusa di antisemitismo, che permette di lanciare subito un'anatema su tutto ciò che si riferisce alla Palestina dopo aver sentito una frase o una parola che disturba. Questo è un procedimento molto sleale se si tiene conto del fatto che i palestinesi, che hanno intere famiglie decimate dagli ebrei e che poi sono stati costretti ad abbandonare le loro case nel 1948, hanno perso tutto. In Occidente, non appena si pronuncia la parola "ebreo" le orecchie si drizzano [5].
Comunque è stato nel nome del giudaismo, della coscienza ebraica che è stato creato uno stato ebraico. Ed è in nome di uno Stato che si proclama ebraico che le Autorità israeliane perseguitano tutto ciò che non è ebreo. Quindi, chiedere ai palestinesi che sono stati colpiti nella loro carne, di non dire di non amare i loro oppressori è un po’ troppo.
Ci possono anche essere delle 'perdite di controllo' slittamenti", ma è qualcosa che, a mio parere, è del tutto veniale dopo tutto quello che hanno subito. È insensato rimproverare questo popolo che è oppresso in nome dello stato ebraico il chiamare 'ebreo' il suo oppressore. Il reato di antisemitismo, che viene cercato in ogni situazione, è qualcosa di profondamente ingiusto.

Silvia Cattori: Lei descrive con rara obiettività le circostanze che nel giugno del 2007 hanno portato Hamas a intervenire contro i mercenari di Al Fatah, finanziati e armati dagli Stati Uniti in accordo con Israele, per sventare il piano segreto che doveva portare alla loro liquidazione.
Anche in questo caso esiste un divario tra ciò che ha visto e quello che gli 'inviati speciali', accreditati da Israele o dai partigiani di Al Fatah, hanno riferito [6]. Tutte le prove erano state messe sul tavolo, ma i giornalisti dei media di regime hanno continuato a ignorarle. Sentire addossare la violenza alle forze di Hamas, e non al progetto criminale di Al Fatah, dovrebbe far crescere un sentimento di rabbia nella stragrande maggioranza dei palestinesi che non collaborano con l'occupante. A cosa servono queste menzogne, se non a legittimare il proseguimento delle offensive militari israeliane contro Hamas e mantenere al potere dell'Autorità Palestinese?

Christophe Oberlin: È una storia penosa. Ma è anche una storia che si ripete. Per quanto riguarda la guerra d'indipendenza algerina, ad esempio, la resistenza ha ricevuto un forte sostegno da una parte della sinistra, compresi i comunisti ma, quando poi era sembrato che l'Algeria indipendente non stesse passando nel campo socialista, c’è stato un certo numero di defezioni. Sono sempre gli stessi che, in Algeria nel 1992, hanno sostenuto quella che viene eufemisticamente chiamata "l'interruzione del processo elettorale", in realtà un colpo di stato militare appoggiato dall'Occidente che ha provocato una guerra civile con 100.000 morti. Immediatamente dopo la vittoria elettorale di Hamas, si è verificato lo stesso fenomeno. Mi ricordo di un editoriale scritto da un noto sionista intitolato: "Hamas, il nemico comune". Nel corso dell’ultima celebrazione della festa dell’umanità, sono stato avvicinato da un attivista che avrebbe sostenuto un'associazione di piccole imprese a Gaza "solo nel caso si rimanga in un contesto laico".

Andare in giro parlare di laicità in un paese dove il 95% della popolazione ha dei sentimenti religiosi è completamente irragionevole. Bisogna sapere se vogliamo aiutare una causa perché ne vale la pena o perché vogliamo imporre un modello. È successo che alcuni attivisti, che volevano invitarmi a parlare del mio libro, si sono scontrati all'interno del loro comitato con i 'laici' che non vogliono assolutamente sentir parlare di Hamas.
Disprezzare Hamas è come disprezzare la popolazione che lo ha eletto. Gaza oggi è inseparabile dal voto dato a Hamas. E limitarsi a parlare della Cisgiordania è come passare dalla parte americano-israeliana che sostiene in modo rigido l'Autorità palestinese... quando poi sappiamo che se ci fossero elezioni libere anche in Cisgiordania sarebbe molto probabile una vittoria di Hamas.

Silvia Cattori: Il capitolo del suo libro intitolato "Sara" è molto forte. Sono rimasta sbalordita. Riuniti alla veglia funebre di una vecchia signora che si rivela essere la madre di Mohammed Dahlan [7], gli alti dirigenti di Hamas dialogano cortesemente con i partigiani di Al Fatah. Questi episodi sorprendono, questa mancanza di animosità da parte dei dirigenti di Hamas, i cui militanti sono stati torturati dalle forze di sicurezza di Al Fatah e incarcerati nelle prigioni della Cisgiordania, lasciano presagire che un domani, nonostante i tradimenti, la riconciliazione sia possibile?

Christophe Oberlin: Spesso ho assistito a scene di questo tipo. Mi è capitato di trovarmi in una famiglia dove erano radunati allo stesso tavolo membri di Hamas e un loro cugino medico pagato dai dirigenti di Al Fatah a condizione di non lavorare [8]. Sono rimasto stupito dell'atmosfera che regnava. Si davano solo piccole frecciatine, non c'era cattiveria. Tutto veniva detto in modo divertente. Questa fratellanza tra i palestinesi l’avevo notata prima dello scrutinio che ha portato Hamas al potere. Questo continua ancora oggi. Io credo che la riconciliazione sia possibile. Non ci sono rivendicazioni tra Al Fatah e Hamas. Si tratta di un litigio tra i dirigenti. L'Autorità Palestinese non rappresenta neanche più la base di Al Fatah. Si tratta di un falso litigio. In termini di elettori, non c'è animosità tra Hamas e Al Fatah. Se le elezioni erano organizzate in condizioni elettorali normali. si sarebbero svolte in modo pacifico anche nel 2006.

Silvia Cattori: Ancora una volta non si può non pensare che Israele non sarebbe potuto andare così lontano se gli ideologi che dettano la linea politica all'interno del movimento di solidarietà, invece di sostenere Al Fatah e coloro che hanno optato per la collaborazione con l'occupante, avessero chiaramente sostenuto il campo delle forze, come quelle di Hamas, che hanno rifiutato questo percorso e hanno continuato a rivendicare il diritto dei Palestinesi a resistere all'occupazione. Questa strana commistione non ha reso il compito più facile per Israele e prolungato la sofferenza del popolo palestinese?

Christophe Oberlin: Certo che hanno reso il compito più facile per Israele. Detto questo, non credo che avremmo potuto contenere l'escalation di violenza alla quale stiamo assistendo. Quando vediamo quello che sta accadendo oggi, che arriva - e tutto mi porta a pensarlo - sino all'assassinio deliberato di stranieri [9], quando mettiamo questi fatti in parallelo con quello che i palestinesi subiscono dall'inizio della colonizzazione ebraica in Palestina, temo che il progetto sionista dovrà necessariamente far uso di tutta questa violenza, e poi ancora più violenza e questo per sempre.

Silvia Cattori: In sintesi, l'elezione di Hamas nel 2006 fu, per molti aspetti, un momento di verità che ha contribuito a rivelare i compromessi irrisolti, anche per quanto riguarda le ONG. Tu racconti di essere stato escluso da due principali ONG francesi che non protestano mai pubblicamente quando le loro équipe mediche sono esposte a umiliazioni e vessazioni da parte delle autorità israeliane. Possiamo conoscere i nomi di queste ONG e quali pretesti sono stati invocati per privarti del loro finanziamento?

Christophe Oberlin: Si tratta in ogni caso di ONG che fanno un buon lavoro: Médecins du monde e Aide Médicale Internationale. Sono organizzazioni di grandi dimensioni che, almeno nel primo caso, coinvolgono governi importanti. Ci sono problemi di una certa rilevanza. Per accedere alla carica di presidente, ai posti di alta responsabilità, i candidati devono essere disposti a accettare ogni sorta di compromesso.
I loro superiori non vogliono sentire lamentele dalle loro équipe. Io rispetto questa posizione ma in Palestina, dove i medici subiscono ogni giorno vessazioni e umiliazioni da parte delle autorità israeliane, non accetto di stare zitto. Ci sono casi in cui è imperativo reagire.

Ci sono stati incidenti segnalati e adeguatamente documentati ma l’ONG Médecins du monde ha rifiutato di protestare. Ad esempio, a un posto di blocco israeliano, uno dei miei colleghi che era in ambulanza con un ferito, è stato oggetto di spari d’arma da fuoco poco prima dell’autorizzazione all'ingresso. Un altro esempio, quando al nostro arrivo all'aeroporto Ben Gurion, la polizia di confine ha sequestrato alcune attrezzature mediche essenziali e molto costose che stavamo trasportando a Gaza, o anche quando ci è stato chiesto di pagare una tassa sui prodotti di lusso, una cosa illegale, dato che si stava parlando di attrezzature mediche per scopi umanitari. Oppure quando i membri delle nostre équipe sono stati umiliati, molestati e bloccati non appena si sono identificati con un cognome arabo. Mai una protesta.

Silvia Cattori: Lei rivela che, già nelle prime ore dell'offensiva israeliana nel 2008, colpiti dalla carneficina, i chirurghi dei paesi arabi e musulmani, tra cui una sessantina egiziani, si precipitarono a Gaza entrando attraverso i tunnel e si misero subito a operare. Nel suo libro lei dice: "Sono stato molto colpito dalla bravura e dall'efficienza con cui hanno operato i feriti gravi e il ruolo straordinario che questi medici anonimi hanno svolto". Lei li definisce "umanitari senza i riflettori". È la discreta e incondizionata solidarietà che contrasta con la pesantezza delle nostre ONG, come si concilia con la sua speranza?

Christophe Oberlin: Assolutamente. Ha dato l'impressione di una forza straordinaria poter vedere tutti questi chirurghi altamente qualificati, che sono corsi a Gaza solo perché sono stati chiamati dai loro colleghi e hanno dichiarato di rimanere "fino a quando ce ne sarà bisogno". È allora che ho pensato che la successione di Mubarak in Egitto era dietro l'angolo.

Silvia Cattori: Nel capitolo del suo libro intitolato “Scagliarsi contro l'umanitario", lei aferma una cosa molto inquietante: sente il cappio stringersi [10]. Vuol dire che le autorità israeliane le impongono condizioni più severe, cercando di rendere sempre più difficile ottenere il permesso per entrare in Palestina. Pensa che potranno privare la popolazione di Gaza di un qualsiasi tipo di assistenza medica [11]? Quali azioni si auspica per impedirglielo?

Christophe Oberlin: I recenti omicidi dell’attivista italiano Vittorio Arrigoni a Gaza e dell’attore israelo-palestinese Juliano Mer Khamis a Hebron [12] mi hanno colpito. Dietro queste uccisioni non ci si può impedire di pensare alla mano di Israele. Quale modo migliore per demonizzare i palestinesi e per rompere il sostegno dell'opinione pubblica internazionale che uccidere due figure carismatiche tra i volontari, e far addossare ai palestinesi la colpa di un crimine di cui non sono responsabili? Tutto questo è spaventoso. C'è un'escalation che può permettere a Israele di provocare in tutto il mondo un sentimento di disgusto verso Hamas. E tutti abbiamo detto, "Potrei essere io il prossimo".
Questa non è la prima volta che una decisione viene presa al più alto livello dello Stato di Israele per assassinare persone che provengono dall'estero. Ci sono stati giornalisti assassinati [13], altri presi di mira come Jacques-Marie Bourget [14]. C'è stato l'attacco alla marina israeliana contro la Freedom Flotilla nel maggio del 2010, che ha ucciso nove umanitari. Un monumento alla loro memoria è stato eretto sul porto di Gaza.

Temo di vedere un segno dell'irrigidimento israeliano che adesso può arrivare fino all'organizzazione di assassini mirati per poi farli passare per omicidi commessi da Hamas. Si può anche pensare che sia una reazione scomposta di un potere che viene messo sotto pressione dai movimenti di protesta su cui ha perso il controllo.

Silvia Cattori: In questi anni tragici, ha visto scene di una crudeltà insopportabile. Lei era lì quando i soldati israeliani hanno deliberatamente sparato sul corpo di un giovane cameraman palestinese che era a terra [15]. Cosa ha provato quando si è trovato di fronte questo giovane paziente a cui erano state appena amputate le gambe?

Christophe Oberlin: Io sopporto di vedere persone ferite gravemente in sala operatoria, ma vedere la violenza al di fuori di questo quadro, anche nei film, è per me qualcosa di insopportabile. Quando ho visto Mohammed Ghanem in ospedale, non ero solo disgustato dal sadismo del soldato che aveva sparato una mezza dozzina di pallottole sul cameraman che stava sul pavimento (è stato tutto filmato da parte dei media arabi che erano lì), mi stavo anche vergognando perché sapevo che non ci sarebbe stata alcuna inchiesta o alcuna sanzione.

Per oltre quindici anni ho fatto il medico di guardia nel reparto di traumatologia grave. Sono specialista nella riparazione di gravi traumi, nella microchirurgia dei vasi e dei nervi; nelle sale operatorie ho ricevuto persone che hanno tentato il suicidio gettandosi sotto la metropolitana. Quando vediamo un uomo con ferite terribili in sala operatoria, dobbiamo per forza compatire. Ma siamo occupati nella riflessione, per decidere quali provvedimenti prendere. Per arrestare l'emorragia e salvare la vita del paziente. Per vedere cosa possiamo fare per preservarne le funzioni. E infine l'intervento chirurgico. Le operazioni sono molto lunghe e bisogna fermarsi di operare perché se il paziente non sta bene, bisogna rinunciare alla ricostruzione e quindi occorre l’amputazione. Questo fa parte della formazione chirurgica. Questi sono concetti che ho imparato.

Quando vediamo arrivare queste persone gravemente ferite, ci si concentra sul loro ricovero. Durante l'aggressione israeliana nel 2009, ho visto chirurghi palestinesi che non ne potevano più, li ho visti crollare, accasciarsi, ma tutto questo accadeva al di fuori della sala operatoria. In caso di emergenza, tutti lavoriamo bene, senza panico e è anche una lezione per noi. Ma ci sono situazioni, scene che ti segnano in modo indelebile, come segnano anche i palestinesi. Sono loro che rafforzano la resistenza.

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