Il voto della Camera dopo un iter travagliato ha ratificato finalmente le indicazioni della Convenzione di Oslo del 2008. Molti l'avevano già fatto da tempo, altri ancora no, compresa l'Italia. Chi ancora fa finta di niente sono Usa, Russia e Cina che non hanno neanche firmato l'accordo in Norvegia. Eppure sono rimaste alcune lacune e alcune scappatoie possibili per tornare a produrle. Ci vuole vigilanza
di ANDREA SARUBBI (articolo su Repubblica)
ROMA - La notizia è stata inghiottita dai titoli sulle amministrative e sugli smottamenti nel governo, ma in altre circostanze - e forse in altri Paesi - avrebbe meritato approfondimenti in prima serata: da ieri, l'Italia ha messo fuori legge le munizioni a grappolo, che se esistesse un campionato di crudeltà tra le armi in commercio lo vincerebbero a spasso. Se le cosiddette bombe intelligenti sono pensate per colpire un obiettivo specifico, le clusterhanno esattamente la finalità opposta: colpire a casaccio, che sia un campo di battaglia o un campo di grano, che la guerra sia in corso o che sia finita da anni, che la vittima sia un soldato col bazooka o un bimbo col pallone. Lanciate dall'alto, nella traiettoria si sparpagliano dove capita e si fermano lì, spesso inesplose, finché qualche sventurato non le pesterà.
Non si possono più produrre né vendere. La Convenzione di Oslo, nel 2008, le aveva vietate, lasciando però agli Stati firmatari il compito di recepire il divieto nel proprio ordinamento: qualcuno lo ha già fatto da tempo, qualcun altro - tipo Stati Uniti, Russia e Cina - non ha neppure firmato la Convenzione. L'Italia ci ha messo tre anni per ratificarla, ma ce l'ha fatta, e da oggi cambia qualcosa: nel nostro territorio le munizioni a grappolo non si possono più produrre, né trasferire, né vendere, né stoccare; le scorte esistenti vanno distrutte, tranne una minima parte utilizzabile nelle esercitazioni per lo sminamento; siamo obbligati a bonificare i territori infestati ed a fornire assistenza alle vittime.
E La Russa si è dirato dall'altra parte. Avevo posto il problema alla Camera qualche mese fa, presentando una proposta di legge "pluripartisan" che aveva raccolto 86 firme: deputati di Centrosinistra, di Centrodestra, del Terzo Polo e del gruppo misto. Ma le firme, da sole, servono a poco e va riconosciuto al governo di aver lavorato perché questo testo arrivasse in Aula; in particolare, il merito va al ministero degli Esteri, che ha preso a cuore il tema ed ha trovato un po' di fondi per la copertura, mentre il ministero della Difesa - che pure dovrebbe sapere quanto sia fondamentale l'opera quotidiana dei nostri soldati per lo sminamento delle cluster in Libano - si è girato dall'altra parte. Ne è venuto fuori un disegno di legge governativo sufficiente a portare a casa un risultato, ma decisamente minimalista rispetto alla mia proposta iniziale: con un po' di coraggio, si sarebbe potuto fare di più.
Le lacune della legge. Sul fronte cassa, ad esempio, la metà vuota del bicchiere ci dice che - mentre i tagli alla cooperazione proseguono, in spregio a tutti gli impegni presi in sede internazionale con l'Onu - il testo approvato ieri non prevede risorse adeguate per aiutare le vittime delle munizioni a grappolo: servono almeno altri 2 milioni di euro, più o meno il prezzo di una villa a Lampedusa su un terreno di proprietà del demanio, ma il presidente del Consiglio stavolta non li ha trovati. Poi c'è un'altra lacuna della norma, che poteva essere facilmente colmata: a differenza della legge che il Parlamento approvò 14 anni fa, recependo la Convenzione di Ottawa sulle mine antipersona, in questo caso non c'è nessun obbligo di denuncia a carico di chi dispone di diritti di brevetto o di tecnologie idonee alla fabbricazione di munizioni a grappolo.
Le scappatoie possibili per fabbricarle ancora. È vero che al momento non risultano aziende italiane produttrici; è vero che esiste un divieto di produzione di questi ordigni sul territorio nazionale; può accadere, però, che le tecnologie o i diritti di brevetto esistenti vengano ceduti da un titolare italiano ad un'azienda americana o cinese, e sarebbe stato opportuno vietarlo. Infine, il tema dei finanziamenti: può una banca italiana - o un intermediario italiano - finanziare la produzione di munizioni a grappolo in Russia? In molti altri Paesi europei ciò è espressamente vietato, da noi no; eppure, non ci voleva molto a prevedere un controllo della Banca d'Italia. Tutti questi miglioramenti del testo, contenuti nella mia proposta di legge iniziale e tradotti in emendamenti al ddl governativo, sono stati respinti dalla maggioranza; li ho così trasformati in ordini del giorno, che il governo ha accolto come raccomandazioni. Toccherà insomma vigilare perché, da qui a fine legislatura, si riprenda in mano l'argomento e non lo si lasci cadere.
11 mila morti l'anno: 98% civili; 1/4 bambini. Ma è soprattutto su un altro fronte che attendiamo sforzi concreti dalla nostra diplomazia: se non faremo pressione anche sugli Stati più refrattari alla firma, per convincerle a sottoscrivere la Convenzione ed a recepirla nel proprio ordinamento, le armi a frammentazione continueranno a provocare stragi di innocenti, come sta avvenendo oggi in 23 aree di guerra e come probabilmente avverrà ancora. Degli 11 mila morti l'anno per le cluster, il 98 per cento sono civili, e un quarto sono addirittura bambini: insieme alle vittime, è il caso di dirlo, saltano in aria anche le norme di diritto umanitario, ed è su questo punto che ci aspettiamo dal governo un'azione incisiva in sede internazionale.
* Andrea Sarubbi è deputato del PD
Non si possono più produrre né vendere. La Convenzione di Oslo, nel 2008, le aveva vietate, lasciando però agli Stati firmatari il compito di recepire il divieto nel proprio ordinamento: qualcuno lo ha già fatto da tempo, qualcun altro - tipo Stati Uniti, Russia e Cina - non ha neppure firmato la Convenzione. L'Italia ci ha messo tre anni per ratificarla, ma ce l'ha fatta, e da oggi cambia qualcosa: nel nostro territorio le munizioni a grappolo non si possono più produrre, né trasferire, né vendere, né stoccare; le scorte esistenti vanno distrutte, tranne una minima parte utilizzabile nelle esercitazioni per lo sminamento; siamo obbligati a bonificare i territori infestati ed a fornire assistenza alle vittime.
E La Russa si è dirato dall'altra parte. Avevo posto il problema alla Camera qualche mese fa, presentando una proposta di legge "pluripartisan" che aveva raccolto 86 firme: deputati di Centrosinistra, di Centrodestra, del Terzo Polo e del gruppo misto. Ma le firme, da sole, servono a poco e va riconosciuto al governo di aver lavorato perché questo testo arrivasse in Aula; in particolare, il merito va al ministero degli Esteri, che ha preso a cuore il tema ed ha trovato un po' di fondi per la copertura, mentre il ministero della Difesa - che pure dovrebbe sapere quanto sia fondamentale l'opera quotidiana dei nostri soldati per lo sminamento delle cluster in Libano - si è girato dall'altra parte. Ne è venuto fuori un disegno di legge governativo sufficiente a portare a casa un risultato, ma decisamente minimalista rispetto alla mia proposta iniziale: con un po' di coraggio, si sarebbe potuto fare di più.
Le lacune della legge. Sul fronte cassa, ad esempio, la metà vuota del bicchiere ci dice che - mentre i tagli alla cooperazione proseguono, in spregio a tutti gli impegni presi in sede internazionale con l'Onu - il testo approvato ieri non prevede risorse adeguate per aiutare le vittime delle munizioni a grappolo: servono almeno altri 2 milioni di euro, più o meno il prezzo di una villa a Lampedusa su un terreno di proprietà del demanio, ma il presidente del Consiglio stavolta non li ha trovati. Poi c'è un'altra lacuna della norma, che poteva essere facilmente colmata: a differenza della legge che il Parlamento approvò 14 anni fa, recependo la Convenzione di Ottawa sulle mine antipersona, in questo caso non c'è nessun obbligo di denuncia a carico di chi dispone di diritti di brevetto o di tecnologie idonee alla fabbricazione di munizioni a grappolo.
Le scappatoie possibili per fabbricarle ancora. È vero che al momento non risultano aziende italiane produttrici; è vero che esiste un divieto di produzione di questi ordigni sul territorio nazionale; può accadere, però, che le tecnologie o i diritti di brevetto esistenti vengano ceduti da un titolare italiano ad un'azienda americana o cinese, e sarebbe stato opportuno vietarlo. Infine, il tema dei finanziamenti: può una banca italiana - o un intermediario italiano - finanziare la produzione di munizioni a grappolo in Russia? In molti altri Paesi europei ciò è espressamente vietato, da noi no; eppure, non ci voleva molto a prevedere un controllo della Banca d'Italia. Tutti questi miglioramenti del testo, contenuti nella mia proposta di legge iniziale e tradotti in emendamenti al ddl governativo, sono stati respinti dalla maggioranza; li ho così trasformati in ordini del giorno, che il governo ha accolto come raccomandazioni. Toccherà insomma vigilare perché, da qui a fine legislatura, si riprenda in mano l'argomento e non lo si lasci cadere.
11 mila morti l'anno: 98% civili; 1/4 bambini. Ma è soprattutto su un altro fronte che attendiamo sforzi concreti dalla nostra diplomazia: se non faremo pressione anche sugli Stati più refrattari alla firma, per convincerle a sottoscrivere la Convenzione ed a recepirla nel proprio ordinamento, le armi a frammentazione continueranno a provocare stragi di innocenti, come sta avvenendo oggi in 23 aree di guerra e come probabilmente avverrà ancora. Degli 11 mila morti l'anno per le cluster, il 98 per cento sono civili, e un quarto sono addirittura bambini: insieme alle vittime, è il caso di dirlo, saltano in aria anche le norme di diritto umanitario, ed è su questo punto che ci aspettiamo dal governo un'azione incisiva in sede internazionale.
* Andrea Sarubbi è deputato del PD
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