martedì 5 luglio 2011

Fanno cassa sul welfare



Una manovra di tagli, ingiusta, per tanti aspetti odiosa, del tutto inadeguata alle necessità di rilancio dell’economia. Per cercare di far quadrare i conti pubblici disastrati, risultato di una gestione sciagurata della crisi basata sui “tagli lineari” di Tremonti, Berlusconi non ha saputo fare altro che tornare a colpire chi già paga: i lavoratori, i pensionati, i malati, gli automobilisti. E dopo essersi vantato (mentendo) di aver tenuto a galla il paese senza mettere le mani nelle tasche degli italiani, le mani ora le affonda senza alcun ritegno e senza ombra di dubbio. Il testo definitivo è ancora in fase di stesura, ma il quadro è chiaro. La manovra punta a far cassa sullo stato sociale e la tanto sbandierata riforma fiscale va in senso opposto a quello che si è cercato di far credere: toglie risorse ai redditi più bassi per destinarle a quelli più elevati. Le aliquote – tre in tutto – ridisegnate da Tremonti sono degne infatti di un Robin Hood alla rovescia.
Minano il principio basilare della progressività dell’imposizione e cancellano ogni possibilità di redistribuzione. Eliminare anche l’aliquota più alta significa regalare ogni anno qualche migliaio di euro a coloro che hanno redditi sufficienti per difendersi dagli attacchi della crisi economica. A scapito dei più deboli.
Toccare contemporaneamente le pensioni, riducendo il loro potere d’acquisto, oltre a far male all’economia del paese, vuol dire colpire i redditi di milioni di persone collocate nella fascia sociale del ceto medio-basso, che hanno già subito processi di progressivo impoverimento.
Forse Tremonti non lo sa, ma toccare le pensioni tra i 1.400 e i 2.400 euro lordi al mese non vuol dire colpire i redditi dei cittadini più ricchi, ma quelli degli operai.
Le cifre ci dicono che con la manovra – per pensioni nette che partono dai 1.050 euro mensili, guadagnate duramente dopo 35- 40 anni di lavoro in fabbrica – si diminuisce del 55 per cento una indicizzazione già debolmente collegata all’andamento del costo della vita. L’obiettivo è di risparmiare nei prossimi due anni, a spese dei pensionati, almeno quattro miliardi e mezzo. Che potrebbero superare i sei miliardi nel caso l’inflazione dovesse mantenere gli attuali trend di crescita. Un provvedimento non proprio all’insegna dell’equità.
Non solo. Oltre alla perdita del potere d’acquisto, si dovranno fare i conti anche con l’aumento dell’età pensionabile dovuto alle diverse misure varate negli ultimi anni. A differenza di quanto promesso dal ministro Sacconi, che ha continuato a giurare che non si sarebbero toccate le pensioni, il centrodestra ha allungato di un anno la finestra di uscita anche per coloro che hanno maturato i 40 anni di contributi e ha introdotto – anticipando ora di un anno la sua operatività effettiva – il collegamento dell’età pensionabile alle aspettative di vita. Questo, dopo aver portato a 65 anni l’età pensionabile delle dipendenti della pubblica amministrazione senza aver previsto alcuna redistribuzione dei risparmi ottenuti a favore delle donne.
Il tutto senza dimenticare gli annunciati tagli alla spesa sanitaria e l’introduzione di nuovi ticket; un nuovo stop (per il quarto anno) degli stipendi dei dipendenti della pubblica amministrazione.
E senza dimenticare l’aumento delle accise sulla benzina, che già si è scaricata sui consumatori con una raffica di aumenti al distributore, o l’introduzione di nuovi pedaggi.
Niente a che vedere con quanto a suo tempo fatto in Finanziaria dal governo Prodi. Che aveva ammorbidito lo “scalone Maroni”, varato la delega per il pensionamento anticipato a favore di chi fa lavori usuranti, congelato sì le pensioni, ma quelle d’oro, (otto volte il minimo), introdotto la “quattordicesima” per oltre tre milioni di pensionati poveri e abbassato da sei a tre anni la franchigia per la totalizzazione dei contributi.
Una manovra attuata in senso redistributivo, di segno completamente diverso rispetto a quella targata Berlusconi. Una manovra che ha l’obiettivo di far cassa assestando un colpo micidiale allo stato sociale. Questo, il Pd non lo permetterà. Far quadrare i conti è necessario, ma servono obiettivi, economici e sociali, improntati all’equità e allo sviluppo del paese che Tremonti non ha saputo delineare, anche perché preda delle gravi contraddizioni della sua maggioranza. 
Cesare Damiano su EUROPA del 5 luglio 2011

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