di Luigi Oliveri 26.07.2011
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Le province spendono circa 12 miliardi di euro all'anno, ma 6 miliardi non sono facilmente comprimibili perché si tratta di rimborsi di prestiti e spese per manutenzione del patrimonio immobiliare. Anche da una sua eventuale dismissione non si otterrebbe molto, a meno di non pensare di vendere edifici scolastici e strade. Quanto al personale, spesso proviene da altre amministrazioni ed è chiamato a svolgere le nuove funzioni attribuite dalle leggi Bassanini. Insomma, al massimo si possono risparmiare 2 miliardi l'anno.
Ridurre la spesa pubblica attraverso l’abolizione delle province può essere certamente una buona idea. A patto di non credere che siano possibili i mirabolanti risparmi di cui si è detto in questi giorni, pari a circa 10 miliardi di euro. Si tratta di letture abbastanza superficiali della composizione della spesa delle province, non a caso accompagnata dall’idea che detti risparmi si potessero conseguire anche mediante la dismissione del patrimonio immobiliare.
DOVE VA LA SPESA DELLE PROVINCE
Forse è utile analizzare meglio le grandezze finanziarie di cui si parla. L’Unione delle province italiane ha diffuso un dossier, dal quale si conferma che complessivamente le province spendono circa 12 miliardi di euro all’anno, dei quali circa 8 miliardi e mezzo per spesa corrente, circa 3 miliardi per spese in conto capitale e circa mezzo miliardo per rimborso di prestiti (tutte spese con trend discendente dal 2008).
Immaginare di tagliare di colpo 10 miliardi, significa accettare l’illusione che aboliti gli enti, la spesa possa limitarsi a finanziare il solo costo del personale, pari a circa 2,5 miliardi di euro.
Le cose sono un po’ più difficili. Intanto, non è possibile azzerare la spesa per rimborso prestiti: abolite le province, qualcuno dovrebbe accollarsela, per evitare ovviamente danni ai creditori.
La spesa in conto capitale a sua volta appare molto difficile da ridurre. È in larghissima misura dovuta a interventi di manutenzione, ampliamento, ristrutturazione e gestione dello sterminato patrimonio immobiliare, composto da 125 chilometri di strade e da circa 5mila edifici scolastici. Anche se si dovessero abolire le province, queste spese dovrebbero comunque essere sostenute.
Insomma, dei 12 miliardi circa di spesa, 6 miliardi ben difficilmente possono essere risparmiati. Meno che mai, si può immaginare di ottenere consistenti ricavi da dismissioni patrimoniali, a meno di non pensare di vendere strade ed edifici scolastici.
Restano altri 6 miliardi di spese correnti sui cui poter intervenire. Molte sono connesse ad acquisizioni di beni e servizi finalizzati all’esercizio delle funzioni amministrative di competenza delle province. Anche in questo caso, la semplice eliminazione degli enti non comporta automaticamente la cancellazione delle spese. Le funzioni delle province qualificate come “fondamentali” da parte della legge delega sul federalismo fiscale (la legge 42/2009) sono queste: funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo (nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della legge 42/2009; funzioni di istruzione pubblica, ivi compresa l'edilizia scolastica; funzioni nel campo dei trasporti; funzioni riguardanti la gestione del territorio; funzioni nel campo della tutela ambientale; funzioni nel campo dello sviluppo economico relative ai servizi del mercato del lavoro. È evidente che, soppresse le province, qualche altro ente dovrebbe curarle, a meno che la legge non ne sopprima anche le funzioni.
Il trend, comunque, delle spese correnti è fortemente in discesa, per effetto anche delle stringenti regole imposte dal patto di stabilità. In altre parole, per quanto ovvio sia imporre ulteriori misure di razionalizzazione e risparmio, quelle già esistenti hanno consentito di diminuire le spese correnti delle province tra il 2008 e il 2010 del 5,2 per cento.
NUOVE FUNZIONI PER LE PROVINCE
Non si deve dimenticare che le province hanno comunque un trend di spesa a geometria variabile. Infatti, molte delle spese, ivi comprese quelle legate al personale derivano dall’attribuzione di funzioni nuove e diverse da parte delle Regioni, in attuazione delle leggi Bassanini. Se i dipendenti delle province accertati dalla Ragioneria generale dello Stato attraverso il Conto del personale 2009 sono intorno ai 56mila, circa 6-7mila di coloro che operano presso i Centri per l’impiego sono transitati tra il 1999 e il 2000 dal ministero del Lavoro; altrettanti sono i dipendenti trasferiti dalle Regioni, in conseguenza del conferimento di funzioni, in particolare nel campo del turismo, dell’agricoltura, della formazione professionale, delle attività produttive.
I veri e propri “costi della politica” delle province concernono indennità e gettoni di presenza, pari a 113 milioni di euro. Ammettendo che la soppressione delle province possa consentire un forte abbattimento delle spese generali, stimate dall’Upi in circa 750 milioni di euro, la massa critica dei risparmi effettivamente conseguibili molto verosimilmente non andrebbe oltre i 2 miliardi di euro.
Ovviamente, si tratta di una cifra tutt’altro che da disdegnare. Che forse si può ottenere egualmente senza stravolgere l’organizzazione degli enti locali, con proposte di accorpamento non solo delle province, ma anche delle competenze, considerando che le province dovrebbero essere viste come naturali depositarie di funzioni oggi sparpagliate tra autorità d’ambito e di bacino e mille altre. Per non parlare, poi, della possibilità che siano proprio le province gli enti naturalmente destinati ad accompagnare il disegno di fusione dei piccoli comuni, avviato dalla manovra estiva 2011.
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