domenica 31 luglio 2011

Il clandestino delle stelle: Voyager 1 va nell'universo

Dopo trentaquattro anni la sonda sta lasciando il Sistema solare per la Via Lattea. Con sé porta il celebre "Disco d'oro", con la speranza che anche gli altri abitanti dell'Universo possano ascoltare Chuck Berry e Beethoven

Chissà se ha pianto questo bambino di 722 chili, quando è uscito dal grembo del Sole e ha cominciato la vita fra le stelle? Chissà se Voyager 1, il primo clandestino dell'Universo, ha avuto paura, se già sta provando nostalgia di quel pianetino e di quel sistema solare che ha abbandonato per emigrare e dove era stato concepito con amore e con trepidazione 33 anni, 10 mesi e 31 giorni or sono? Se anche stesse piangendo, naturalmente nessuno lo potrebbe sentire, nel vuoto che lo avvolge ora che ha bucato l'eliosfera, la sacca amniotica che lo ha avvolto per tutta la sua esistenza, ed è arrivato laddove nessun figlio degli uomini era mai arrivato nei 13 miliardi di anni dal Big Bang. Soltanto noi, qui nella casa dalla quale se ne andò, riusciamo ancora a percepire qualche vaghissimo segnale anche se impiega sedici ore per raggiungerci. Ma uno dei suoi genitori, Tom Krimigis, ancora lo segue e vorrebbe proteggerlo perché, come sappiamo, un figlio è per sempre e non si smette mai di essere padri e madri.


Si sa che ha lasciato il Sistema solare, questo angoletto di Universo del quale noi ci crediamo il centro, per avventurarsi dentro la Via Lattea, la nostra galassia, dentro la quale stiamo in proporzione come una moneta da dieci centesimi caduta nel territorio della Francia. Ha fatto sapere a casa, da bravo figlio, che attorno a lui è calata una quiete inattesa e gli ultimi soffi del "vento solare", degli elettroni e protoni emessi dal Sole, non lo raggiungono più. Non ha trovato turbolenze, vortici, brutte compagnie, l'atteso e teorico "shock" che era stato previsto, e continua a sgambettare alla velocità di tredici chilometri al secondo, 46mila chilometri all'ora. Potrebbe viaggiare per sempre, nel "sempre" della vita dell'Universo, anche dopo che il suo cuore nucleare al plutonio avrà smesso di battere nel 2020.

È un clandestino dell'Universo, il primo emigrato illegale sfuggito al Sole, che nessun'altra stella o galassia ha mai invitato. Perfetto simbolo delle perenni migrazioni di uomini e cose che l'umanità non cessa mai di compiere, indifferente a leggi, barriere, gravità. Tenta di portare con sé documenti che nel 1977, quando fu concepito e lanciato, fisici, matematici, filosofi della scienza, astrofisici come Carl Sagan, scrissero e immaginarono potessero essere comprensibili e decrittabili da creature intelligenti sparse fra i duecento miliardi di stelle. Potrebbero evitargli l'espulsione, la detenzione o la distruzione. È il "Disco d'oro", che sulle prime i progettisti non volevano perché temevano che potesse alterare gli equilibri sensibilissimi della sonda, ma dovettero accettare.

Porta le prime battute dei Concerti brandeburghesi di Bach, sublime esempio di matematica dell'anima, 115 suoni della Terra, vento, mare, uccelli, balene, messaggi dei tromboni politici del momento, il segretario generale dell'Onu Waldheim e il presidente americano Jimmy Carter, dei quali a un ascoltatore del quinto o sesto millennio non potrebbe importare di meno. I saluti di terricoli in 55 lingue diverse; grafici con i parametri che rappresentano il sistema solare; simboli di molecole. Il tutto è inciso su un disco microsolco di rame placcato in oro a 16 giri, come gli album dell'epoca degli Elvis o dei Led Zeppelin, che ormai anche qui sulla Terra sarebbe quasi impossibile da ascoltare, essendo il "16 giri" estinto come i mammuth. Per questo, il "Disco d'oro" è chiuso in un cofanetto sigillato, con testina e puntina incluse, nella speranza che un E. T. un po' arretrato possieda un vecchio giradischi. O che oltre la Via Lattea esista un sito come e-bay dove acquistare apparecchi usati.

Porta quindi nello spazio intergalattico il segno di un'epoca che non esiste più e ci appare lontanissima nello spazio e nel tempo, quanto lui. È l'ambasciatore di una Terra che, atomi e molecole ed equazioni a parte, non è più quella che lui lasciò. Anche i ragazzi di oggi, figuriamoci gli "alieni", faticherebbero a riconoscerla. Uomini e donne sono approssimativamente ancora quello che erano, qualche centimetro più alti nella media, grazie alla migliore alimentazione di tanti, e destinati a vivere un poco più a lungo, ma chi dovesse intercettare il clandestino delle stelle non lo saprà mai. Le immagini frontali di un maschio e di una femmina d'uomo, che erano state incise sui dischi inseriti nelle sonde Pioneer anch'esse destinate alle stelle, furono eliminate per le proteste dei puritani, indignati al pensiero che qualche inconcepibile creatura nell'universo potesse scandalizzarsi e pensar male di noi terrestri.

Ma le similitudini fra l'oggi e il '77 finiscono con l'anatomia umana. Quel 1977 era l'anno della morte di Elvis Presley e dell'insediamento alla Casa Bianca di Carter, della benzina (in America) a 25 centesimi di dollaro al litro, della pace fra Egitto e Israele, con il primo riconoscimento di uno Stato arabo al diritto israeliano di esistere come nazione sovrana. Era l'anno dell'inaugurazione dell'oleodotto dell'Alaska, quello che avrebbe dovuto soddisfare per sempre la fame di petrolio, del primo volo commerciale del Concorde, della prima risonanza magnetica sperimentata a Brooklyn, dell'ultima esecuzione con la ghigliottina in Francia e della prima esecuzione di un condannato in America, dopo la pausa imposta dalla Corte Suprema. A Sanremo conduceva Mike Bongiorno e vincevano gli Homo Sapiens con Bella da morire e a Roma governava Giulio Andreotti. Proprio nel 1977, Spielberg ci illuse con i suoi Incontri ravvicinati.

Il suo computer di bordo, che pure lo ha guidato in un viaggio interplanetario che ci ha regalato immagini meravigliose di Giove, Saturno e la prima foto cartolina del Sistema solare visto da fuori, inviata nel 1990, è un patetico processore con memoria da 68K, sessantottomila byte, quattro milioni di volte più piccola dei 256G, miliardi di byte dentro il minuscolo laptop sul quale sto scrivendo. Ma quella era la capacità dei personal computer che lanciarono la cyberivoluzione che oggi stiamo vivendo nella esplosione della Rete, era la memoria del Commodor Pet, commercializzato proprio nel 1977 o, nello stesso anno, dell'Apple II, l'antenato della dinastia degli Apple Macintosh. È archeologia del futuro, quella che il bambino ormai adulto e uscito dalla casa del Sole porta dentro di sé, nell'ipotesi neppure quantificabile che in un tempo lontano dai noi milioni di anni luce finisca nella rete di qualche pescatore interstellare. Ma se ascoltare il primo movimento dei Concerti brandeburghesi o il fruscio del vento in un bosco non dirà nulla agli ascoltatori di altri mondi, grazie a quell'ammasso di sofisticatissima e antiquata ferraglia che ora vaga tra le stelle, abbiamo finalmente la risposta all'interrogativo che ci tormenta dalla prima volta che il bisnonno scimmia si eresse sugli arti posteriori e alzò lo sguardo verso il cielo notturno. I viaggiatori interstellari esistono. Ed è lui. Io, robot.

repubblica.it

sabato 30 luglio 2011

E78: Caprini convoca summit a Città di Castello con i Sindaci interessati dal tracciato



Lunedì 1 agosto, alle ore 12.00, presso la Sala Giunta del Comune di Città di Castello è in programma un incontro convocato da Domenico Caprini, in qualità di membro del Tavolo Tecnico Nazionale per il completamento della E 78, a cui sono stati invitati la Regione Umbria e i Sindaci interessati dal tracciato della “Due Mari” Luciano Bacchetta di Città di Castello, Giuliana Falaschi di Citerna e Fabio Buschi di San Giustino. 
Nel corso dell’incontro verrà esaminata la proposta per la realizzazione definitiva della Grosseto Fano con capitale privato, proposta emersa nel corso dell’incontro svoltosi giovedì scorso a Roma presso la sede del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. 
La formula prevede che il concessionario riscuota il pedaggio, concordi un piano di valorizzazione delle aree interessate e percepisca contributi statali (ma solo al momento della consegna dei lavori finiti). Una sorta di evoluzione del sistema del project financing, applicato appunto ad una opera infrastrutturale di grandi proporzioni, quale è l’attesa arteria della “Due Mari”. 
“In questa fase di carenza di risorse pubbliche c’è bisogno di prendere in considerazione ogni opportunità e tutte le esperienze intraprese relative alla realizzazione di opere pubbliche – sono le parole di Domenico Caprini, membro del Tavolo Nazionale per la E 78 e assessore alla viabilità della Provincia di Perugia. “Non servono polemiche politiche – precisa Caprini - ma è invece necessario un forte impegno volto ad individuare le scelte giuste per la realizzazione di un’opera fondamentale non solo per la nostra comunità ma per l’intero Paese”. 



PS: siamo onesti, abbiamo perso troppo tempo: questa strada non sarà mai conclusa...

Processo lungo, la mafia ringrazia

Duro attacco di Adriano Sansa su Famiglia Cristiana (http://www.famigliacristiana.it/informazione/news_2/articolo/un-infinito-processo-ad-personam_290711103910.aspx) alla approvazione in Senato del cosiddetto "processo lungo". E intanto l'Italia rischia di crollare...
Senatori dell'IDV che accolgono la scelta berlusconiana del Processo Lungo
sollevando in aula cartelli che  accusano i senatori del governo di essere LADRI DI GIUSTIZIA
(fonte IL GIORNALE, che commenta "la solita sceneggiata":
sarà, ma dall'altra parte è la solita politica ad personam...)

Siamo a teatro. Un tale ruba la borsetta a una signora. Davanti al tribunale dieci testimoni precisi, sereni, estranei alle parti lo confermano. Ma la difesa chiede che tutti gli spettatori vengano sentiti: possono aver visto, magari con la coda dell'occhio. Oggi il giudice, che è organo imparziale, può escludere le prove manifestamente superflue o irrilevanti. Con la legge sul 'processo lungo' non potrà più; solo quelle manifestamente non pertinenti potranno essere escluse. E siccome sono pertinenti a quella vicenda tutte le deposizioni degli spettatori, tutti dovranno essere sentiti. Mesi di udienze per un furterello.

A chi giova? A chi vuole tirare in lungo il processo: finalmente la verità. Il processo breve era una menzogna, perché significa la morte anticipata della procedura. Qui almeno si dice chiaramente l'obiettivo. Ancora un esempio. Non si potranno utilizzare le sentenze, pur se definitive, che accertano un determinato fatto, se non sentendo di nuovo i testi già ascoltati sui quali esse si fondino: come, per intenderci, i testimoni di un processo che abbia già accertato una corruzione.

A chi giova? Poiché la riformetta si applicherebbe anche ai processi in corso in primo grado, serverebbe magari con urgenza a chi fosse notoriamente un imputato. Il quale potrà pure interrogare direttamente i testi che abbiano reso dichiarazioni a suo carico: il mafioso estorsore guarderà significativamente negli occhi, facendogli domande, il poveretto che finalmente ha creduto di poter parlare. Forse sarebbe il caso di riflettere ancora su simili innovazioni.

Su tutto questo, che varrà per decine di migliaia di processi, rallentandoli e vanificandoli, il governo mette la fiducia. Mentre i titoli di Stato italiani vacillano, mentre la corruzione distrugge la credibilità delle istituzioni all'interno e all'estero. Pensare che la legge, al cui interno si sono messe le novità, era nata per escludere il giudizio abbreviato e le sue riduzioni di pena  per i delitti puniti con l'ergastolo.    

venerdì 29 luglio 2011

GIUNTA UMBRIA VARA ASSEGNO CURA PER MALATI SLA



La giunta regionale ha dato stamani il proprio via libera all'assegno di cura per l'assistenza ai malati di Sla (intorno a 70 in Umbria, secondo quanto risulta all'ente). A renderlo noto la presidente dell'esecutivo umbro, Catiuscia Marini, a margine della conferenza stampa di stamani a Palazzo Donini su una serie di provvedimenti di riforma della macchina amministrativa regionale. ''E' un impegno - ha osservato la Marini - che avevamo assunto di fronte al consiglio regionale e delle stesse famiglie dei malati di sclerosi laterale amiotrofica. Siamo la seconda Regione italiana, dopo la Toscana, ad intervenire con questo provvedimento''. Il contributo varia da 400 euro ad 800 e 1.200, a secondadella diversa gravita' assistenziale verificata dalle singole aziende sanitarie locali.
Grazie anche a Stefano Magrini per la notizia e a Fernanda Cecchini per l'impegno mantenuto...

Il nuovo ministro della Giustizia

Qualcuno gioisce per la scelta del nuovo ministro della Giustizia. Credo proprio che abbia il curriculum perfetto per fare peggio di chi l'ha preceduto. Ecco la presentazione de L'Espresso.






Nell'estate di quattro anni fa, quando stava scontando la sua pena tra gli arresti domiciliari e i servizi sociali, Cesare Previti riceveva a casa sua pochi fedelissimi. Tra questi – insieme a Elio Vito, Iole Santelli e Guido Viceconte - spiccava l'ex giudice Francesco Nitto Palma, che era stato pm in quella procura di Roma nota come 'porto delle nebbie' e dove Previti, appunto, coltivava molte utili amicizie. 

Ma quando andava a cena nell'attico di piazza Farnese, Palma aveva già da tempo dismesso la toga: entrato in Forza Italia alla sua fondazione, nel 1994 era subito diventato vicecapo di gabinetto e direttore dell'ufficio Relazioni internazionali del ministero di Grazia e giustizia con Alfredo Biondi, al tempo del tentato 'decreto salvaladri'. 

La sua nomina era stata una sorta di risarcimento per Previti, a cui doveva andare quel ministero e che invece – come si ricorderà - fu spostato all'ultimo minuto alla Difesa, per intervento di Scalfaro.

Nel 2001 Nitto Palma venne 'promosso' a Montecitorio, ovviamente con Forza Italia, facendosi subito notare per un emendamento che avrebbe imposto la sospensione dei processi per tutti i parlamentari, fino a fine mandato e con effetto retroattivo. In pratica, la piena restaurazione dell'immunità parlamentare, con l'effetto di salvare dai loro processi sia Berlusconi, sia Dell'Utri sia – naturalmente – Cesare Previti.

La leggina non fu mai approvata, ma Palma rimase nel giro giusto, passando nel 2006 dalla Camera al Senato. Questa volta in Lombardia, benché lui sia romanissimo, seppure di origini siciliane.

Nel 2007, a Palazzo Madama, Palma si fece notare per la sua strenua resistenza contro i tagli dello stipendio dei senatori: «E' un grave errore», disse, «andare incontro alla demagogia dell' antipolitica». 


Caduto Prodi, nel 2008, Palma rientrò a Palazzo Madama (da capolista in Calabria, quindi blindatissimo grazie al Porcellum) e divenne sottosegretario agli Interni. 

Al Senato attualmente risulta tra i più assenteisti – meno del 15 per cento di presenze – ma dal Viminale è riuscito comunque a farsi notare sia come falco berlusconiano sia per il suo attivismo istituzionale nella lotta alla criminalità. 

Francesco Nitto Palma è anche autore di romanzi. Il più noto, 'Fatti onore a papà', racconta la storia di un uomo che parla a lungo con un gatto randagio sull'isola Tiberina, a Roma

giovedì 28 luglio 2011

L’E-CAT PERDE VAPORE

L’"Energy Catalyser" (E-Cat) è un apparecchio che, secondo due scienziati italiani, sarebbe in grado di risolvere i problemi mondiali dell’energia attraverso una reazione di fusione nucleare. Sfortunatamente, ci sono seri dubbi su queste affermazioni. Nella figura sottostante (da un articolo di Peter Ekstrom) si può vedere uno dei problemi dell’E-Cat: la quantità di vapore prodotta dall’apparecchio in funzione è troppo piccola per indicare che effettivamente produca energia.

L’"Energy Catalyser" (E-Cat) è un apparecchio che, secondo due scienziati italiani, sarebbe in grado di risolvere i problemi mondiali dell’energia attraverso una reazione di fusione nucleare. Sfortunatamente, ci sono seri dubbi su queste affermazioni. Nella figura sottostante (da un articolo di Peter Ekstrom) si può vedere uno dei problemi dell’E-Cat: la quantità di vapore prodotta dall’apparecchio in funzione è troppo piccola per indicare che effettivamente produca energia.

Andrea Rossi e Sergio Focardi hanno di recente annunciato lo sviluppo di un dispositivo (l’"energy catalyser" o "E-Cat") capace di produrre energia utile dalla reazione di fusione a bassa temperatura. Se funzionasse come riportato, l’E-Cat sarebbe una vera rivoluzione non solo nella scienza, ma anche nella vita di tutti i giorni. Avremmo un semplice apparecchio capace di produrre abbondanza di energia a basso costo senza generare quantità significative di inquinanti e che ci farebbe dire addio alla crisi energetica e anche al riscaldamento globale. In un mio post precedente su "The Oil Drum", ho esaminato l’E-Cat, lasciando aperta la possibilità che si tratti di un vero dispositivo a fusione. Qui riesamino l’argomento sulla base di nuovi dati. Mi sembra ora molto improbabile che l’E-Cat possa funzionare come annunciato.

L’idea dell’E-Cat è basata sui primi lavori di Martin Fleischmann e Stanley Pons che, nel 1986, avevano annunciato di esser riusciti a fondere insieme i nuclei del deuterio ("fusione fredda") e di aver ottenuto un abbondante fonte di energia a basso costo. Purtroppo, le affermazioni di Fleischmann e Pons erano basate su errate misurazioni sperimentali e fu verificato che non c’era una cosa simile alla fusione fredda nel loro allestimento. Cosa che non deve dissuadere altri scienziati dal cercare un simile fenomeno, una ricerca che continua fino ai giorni nostri. Rossi e Focardi hanno riportato che sono stati in grado di fondere i nuclei del nickel con nuclei di idrogeno a bassa temperatura, generando nel processo nuclei di rame e energia utile. In base alle loro dichiarazioni, la reazione deve essere avviata fornendo una qualche energia alla cella di reazione, ma il calore in eccesso prodotto potrebbe essere 30 volte maggiore o anche più.

Le reazioni iniziali alle dichiarazioni di Rossi e Focardi erano di un cauto interesse (ad esempio da parte mia e di Kjell Aleklett), ma anche di un forte appoggio (ad esempio Hanno Essen e Sven Kullander). In ogni caso, queste reazioni iniziali erano basate principalmente sulle affermazioni degli inventori dell'E-Cat. Nella scienza c’è un credo diffuso, e quando un collega ti parla di qualcosa che ha realizzato, non ritieni all’istante che le sue misurazioni siano sbagliate, o che sia una truffa o un imbroglio solo per fare soldi. Comunque, quando le misurazioni sono importanti, quando sono cruciali per lo sviluppo di una nuova teoria o per confutarne un’altra, allora deve essere mostrato in dettaglio che siano state eseguite correttamente e che possono essere ripetute in modo indipendente. Naturalmente, gli inventori non sono obbligati a mostrare esattamente il funzionamento della loro invenzione, ma il loro interesse è quello mostrare che produce i risultati da loro asseriti.

Allora, esaminiamo la situazione dell’E-Cat al momento attuale. Non sono state evidenziate prove dirette che sia avvenuta una reazione nucleare all’interno del dispositivo, come, ad esempio, le emissioni di raggi gamma. L’unica prova disponibile è indiretta e viene dalla gran quantità di calore in eccesso che si dichiara che venga prodotta dal reattore. Visto che si tratta dell’unico fondamento dell’asserzione secondo cui la reazione nucleare ha davvero luogo, il calore in eccesso (sempre che ci sia) prodotto dal reattore dovrebbe essere stato misurato con estrema cura e con tutte le precauzioni necessarie per assicurarsi che sia significativo. Sfortunatamente non sembra questo il caso. La strumentazione per le misurazioni di calore sembra inadeguata e amatoriale; il risultato è poco chiaro e la ripetitività non è stata dimostrata. Sembra legittimo pensare che la dichiarazione di una "fusione fredda" di Rossi e Focardi si basi su scarse evidenze, o addirittura su nessuna.

Una misurazione calorimetrica ragionevolmente affidabile del calore prodotto dall’E-Cat potrebbe essere effettuando cicli di acqua di raffreddamento all’interno di un serbatoio isolato per poi misurare la temperatura dell’acqua. Sapendo la quantità di acqua, sarebbe possibile ottenere una prima stima del calore prodotto. Che, in sé stesso, non sarebbe ancora sufficiente. La misurazione del calore dovrebbe essere validata con la sostituzione dell’E-Cat con un resistore, per poi misurare la potenza necessaria per riscaldare l’acqua alla stessa temperatura raggiunta con l’E-Cat in azione. Ma la prova cruciale sarebbe una in "bianco", nella quale verrebbe dimostrato che c’è una differenza significativa tra il calore generato da un’E-Cat in funzione e uno strumento dove il "catalizzatore" è assente.

È chiaro, invece, che gli inventori dell’E-cat non hanno fatto niente del genere. Non hanno chiuso il ciclo di raffreddamento, hanno lasciato sfiatare il vapore e hanno stimato l’ammontare del calore creato, ritenendo che tutta l’acqua passata attraverso l’E-Cat venga vaporizzata. Si tratta di un’impostazione molto povera che assicura grossi errori, semplicemente perché non c’è modo di assicurarsi che tutta l’acqua venga vaporizzata. È comunque evidente in questo film che è esattamente il modo in cui la misurazione è stata interpretata.

Anche una povera strumentazione può comunque dirci qualcosa se si prendono precauzioni elementari. Semplicemente usando due E-cat, uno "attivo" e l’altro senza il catalizzatore, si potrebbe vedere una differenza nel caso fosse presente un eccesso di calore. Ma Rossi si è rifiutato di rispondere alla richiesta del test a vuoto. Potrebbe valer la pena ricordare che la caduta delle dichiarazioni del 1986 sulla "fusione fredda" di Fleischmann e Pons iniziò quando non riuscirono a dimostrare di aver eseguito un test a vuoto bianco nei loro esperimenti.

Oltretutto, Peter Ekstrom ha un punto a suo favore quando dimostra che l’E-Cat non produce alcun calore in eccesso. Come risposta, Rossi non ha trovato niente di meglio che definire Ekstrom "un pagliaccio". Questa risposta è stata immediatamente cancellata dal blog di Rossi, ma può ancora essere trovata sul web, ad esempio qui. Questo è solo un esempio delle attitudini del signor Rossi nei confronti di chi lo critica.

Oltre a questo, potremmo aggiungere altri elementi sospetti. Steven Krivit ha correttamente descritto alcuni punti deboli delle affermazioni di Rossi e Focardi. Intanto, potremmo aggiungere che le misurazioni fatte in Svezia mostrano che il rame che si suppone sia stato creato dalla trasformazione nucleare nell’E-Cat ha la stessa composizione isotopica del rame naturale. Questo non è semplicemente possibile.

Ovviamente, questo non dimostra che l’E-Cat non possa funzionare come descritto, ma l’onere della prova spetta agli inventori ed è chiaro che sono ben lontani dal poter mostrare che il loro apparecchio è una macchina di produzione di energia che si basa sulla fusione nucleare. Sembra che la storia dell’E-Cat si stia rapidamente muovendo verso l’ambito della ”scienza patologica”. I grandi proclami di rivoluzioni scientifiche sostenuti da prove scarse o assenti, le ricette ambiziose su come salvare il mondo grazie a un qualche macchinario miracolistico, la pompamagna che vorrebbe simulare una teoria scientifica, gli insulti ad personam per i non credenti, eccetera; è uno schema già visto. Da questo momento, potremmo aspettarci di assistere a un’altra ondata di teorie cospirative collegate all’E-cat. Anche questa volta, passerà.

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Fonte: http://www.theoildrum.com/node/8140

27.07.2011

Franco Tomassoni nominato nuovo assessore alla sanità

Complimenti e auguri al nuovo Assessore alla Sanità dell'Umbria. Ecco il resoconto di Quotidianosanita.it (http://www.quotidianosanita.it/regioni-e-asl/articolo.php?articolo_id=4955).


Rimpasto nella Giunta umbra. Dopo le dimissioni da assessore alla Sanità di Vincenzo Riommi lo scorso 15 ottobre, la governatrice, Catiuscia Marini, sveste il camice tenuto per oltre 9 mesi e lo consegna all'ormai ex assessore al Bilancio, Franco Tomassoni. La decisione è stata adottata dalla presidente con un decreto di nomina che ha sancito, inoltre, il rientro in Giunta di Vincenzo Riommi, a cui è stato affidato l’assessorato allo Sviluppo economico con conseguente spostamento di Gianluca Rossi al Bilancio.
Le nuove competenze atribuite a Tomassoni riguarderanno la Tutela della Salute, la Programmazione ed organizzazione sanitaria, compresa la gestione e valorizzazione del patrimonio sanitario, la sicurezza sui luoghi di lavoro e la sicurezza alimentare.
“Ho ritenuto importante provvedere a ripristinare l’assetto e la piena funzionalità della Giunta regionale – ha dichiarato Marini – , con la riassegnazione delle deleghe all’assessore Franco Tomassoni”. “Il completamento degli assetti della Giunta e la riassegnazione delle deleghe – ha concluso la governatrice – pone le condizioni per proseguire con maggiore intensità il lavoro di attuazione del programma di governo e delle riforme già avviate per ridare competitività e sostenere la coesione sociale e la crescita dell’Umbria”.

L'identikit del nuovo assessore alla Sanità
Franco Tomassoni è nato a Perugia il 16 aprile 1949. Laureato in economia e commercio all’Università di Perugia, è stato direttore di aziende agrarie, consigliere di Umbria Kentucky di Perugia e della Fondazione per l’istruzione agraria. È presidente del Gruppo Grifo Latte e della Banca di Credito Cooperativo Trasimeno-Orvietano di Città della pieve. Ricopre, inoltre, l’incarico di consigliere della Federazione banche di Credito cooperativo della Toscana. Nelle elezioni regionali del 2010 è stato eletto nella lista provinciale di Perugia del Pd, e nominato assessore con deleghe: Programmazione e organizzazione delle risorse finanziarie, umane, patrimoniali, innovazione e sistemi informativi; Affari istituzionali; Rapporti con il Consiglio Regionale; Riforme dei servizi pubblici locali e semplificazione della Pubblica amministrazione.

mercoledì 27 luglio 2011

«Voi potete fare la differenza»


Miei cari,
che spettacolo!
Mi trovo faccia a faccia con la volontà del popolo.
Voi siete la volontà del popolo.
Migliaia e migliaia di norvegesi – a Oslo e in tutto il paese – fanno la stessa cosa stasera.
Occupano le strade, le piazze, gli spazio pubblici con lo stesso messaggio di sfida: abbiamo il cuore a pezzi, ma non ci arrendiamo.
Con queste fiaccole e queste rose mandiamo al mondo un messaggio: non permetteremo alla paura di piegarci, e non permetteremo alla paura della paura di farci tacere.
Il mare di gente che vedo oggi davanti a me e il calore che sento da tutto il paese mi convince che ho ragione.
La Norvegia ce la farà.
Il male può uccidere gli individui, ma non potrà mai sconfiggere un popolo intero.
Questa sera il popolo norvegese sta scrivendo la storia.
Con le armi più potenti del mondo – la libertà di parola e la democrazia – stiamo disegnando la Norvegia per il dopo 22 luglio 2011.
Ci saranno una Norvegia prima e una Norvegia dopo il 22 luglio.
Ma sta a noi decidere come sarà la Norvegia.
La Norvegia sarà riconoscibile.
La nostra risposta ha preso forza durante le ore, i giorni e le notti difficili che abbiamo dovuto affrontare, ed è ancora più forte questa sera: più apertura, più democrazia. Determinazione e forza.
Noi siamo questo. Questa è la Norvegia.
Ci riprenderemo la nostra sicurezza!
Dopo gli attacchi di Oslo e Utøya, abbiamo affrontato uniti lo shock, la disperazione e il lutto.
Continueremo a esserlo, ma non sarà sempre come è adesso.
Lentamente, qualcuno inizierà per primo a essere in grado di riaffrontare la vita di tutti i giorni. Per altri ci vorrà più tempo.
È importante che siano rispettate queste differenze. Tutte le forme di lutto sono ugualmente normali.
Dovremo comunque prenderci cura l’uno dell’altro.
Dimostrare che è qualcosa cui teniamo.
Dobbiamo parlare con quelli per cui è stata più dura.
Dobbiamo essere umani e fraterni.
Noi riuniti qui questa sera abbiamo un messaggio per tutti quelli che hanno perso qualcuno cui volevano bene: siamo qui per voi.
Guarderemo anche in avanti per la Norvegia dopo il 22 luglio 2011.
Dobbiamo fare attenzione a non arrivare a conclusioni affrettate mentre siamo un paese in lutto, ma ci sono alcune cose che ci possiamo promettere questa sera.
Prima di tutto, oltre tutto questo dolore, possiamo intravedere qualcosa di importante che ha messo le sue radici.
Ciò che vediamo questa sera potrebbe essere la più grande e la più importante marcia che il popolo norvegese abbia mai condotto insieme dalla Seconda guerra mondiale.
Una marcia per la democrazia, per la solidarietà e per la tolleranza.
Le persone in tutto il paese sono fianco a fianco in questo momento.
Possiamo imparare da questo. Possiamo fare più cose come questa.
Ognuno di noi puoi contribuire a costruire una democrazia un po’ più forte. Questo è ciò che vediamo ora qui.
In secondo luogo,
voglio dire questo a tutti i giovani raccolti qui.
Il massacro di Utøya è stato un attacco contro il sogno dei giovani di rendere il mondo un posto migliore.
I vostri sogni sono stati interrotti bruscamente.
Ma i vostri sogni possono essere esauditi.
Potete tenere vivo lo spirito di questa sera. Voi potete fare la differenza.
Fatelo!
Ho una semplice richiesta per voi.
Cercate di essere coinvolti. Di interessarvi.
Unitevi a una associazione. Partecipate ai dibattiti.
Andate a votare.
Le elezioni libere sono il gioiello di quella corona che è la democrazia.

Partecipando, voi state pronunciando un sì pieno alla democrazia.
Infine,
sono infinitamente grato di vivere in un paese dove, in un momento così critico, il popolo scende nelle strade con fiori e candele per proteggere la democrazia.
Per commemorare e onorare le persone che abbiamo perso.
Questo dimostra che Nordahl Grieg aveva ragione: «Siamo così pochi in questo paese, che ogni caduto è un fratello e un amico».
Ci porteremo tutto questo con noi mentre iniziamo a mettere insieme la Norvegia del dopo 22 luglio 2011.
I nostri padri e le nostre madri ci avevano promesso: «Non ci sarà mai più un 9 aprile».
Oggi diciamo: «Non ci sarà mai più un altro 22 luglio».

martedì 26 luglio 2011

La nuova leva

Ecco finalmente qualcuno di nuovo compare sulla triste scena politica italiana.
Ridicoli.



ABOLIRE LE PROVINCE? SI RISPARMIA POCO

di Luigi Oliveri 26.07.2011
LAVOCE.INFO


Le province spendono circa 12 miliardi di euro all'anno, ma 6 miliardi non sono facilmente comprimibili perché si tratta di rimborsi di prestiti e spese per manutenzione del patrimonio immobiliare. Anche da una sua eventuale dismissione non si otterrebbe molto, a meno di non pensare di vendere edifici scolastici e strade. Quanto al personale, spesso proviene da altre amministrazioni ed è chiamato a svolgere le nuove funzioni attribuite dalle leggi Bassanini. Insomma, al massimo si possono risparmiare 2 miliardi l'anno.
Ridurre la spesa pubblica attraverso l’abolizione delle province può essere certamente una buona idea. A patto di non credere che siano possibili i mirabolanti risparmi di cui si è detto in questi giorni, pari a circa 10 miliardi di euro. Si tratta di letture abbastanza superficiali della composizione della spesa delle province, non a caso accompagnata dall’idea che detti risparmi si potessero conseguire anche mediante la dismissione del patrimonio immobiliare.

DOVE VA LA SPESA DELLE PROVINCE

Forse è utile analizzare meglio le grandezze finanziarie di cui si parla. L’Unione delle province italiane ha diffuso un dossier, dal quale si conferma che complessivamente le province spendono circa 12 miliardi di euro all’anno, dei quali circa 8 miliardi e mezzo per spesa corrente, circa 3 miliardi per spese in conto capitale e circa mezzo miliardo per rimborso di prestiti (tutte spese con trend discendente dal 2008).
Immaginare di tagliare di colpo 10 miliardi, significa accettare l’illusione che aboliti gli enti, la spesa possa limitarsi a finanziare il solo costo del personale, pari a circa 2,5 miliardi di euro.
Le cose sono un po’ più difficili. Intanto, non è possibile azzerare la spesa per rimborso prestiti: abolite le province, qualcuno dovrebbe accollarsela, per evitare ovviamente danni ai creditori.
La spesa in conto capitale a sua volta appare molto difficile da ridurre. È in larghissima misura dovuta a interventi di manutenzione, ampliamento, ristrutturazione e gestione dello sterminato patrimonio immobiliare, composto da 125 chilometri di strade e da circa 5mila edifici scolastici. Anche se si dovessero abolire le province, queste spese dovrebbero comunque essere sostenute.
Insomma, dei 12 miliardi circa di spesa, 6 miliardi ben difficilmente possono essere risparmiati. Meno che mai, si può immaginare di ottenere consistenti ricavi da dismissioni patrimoniali, a meno di non pensare di vendere strade ed edifici scolastici.
Restano altri 6 miliardi di spese correnti sui cui poter intervenire. Molte sono connesse ad acquisizioni di beni e servizi finalizzati all’esercizio delle funzioni amministrative di competenza delle province. Anche in questo caso, la semplice eliminazione degli enti non comporta automaticamente la cancellazione delle spese. Le funzioni delle province qualificate come “fondamentali” da parte della legge delega sul federalismo fiscale (la legge 42/2009) sono queste: funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo (nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della legge 42/2009; funzioni di istruzione pubblica, ivi compresa l'edilizia scolastica; funzioni nel campo dei trasporti; funzioni riguardanti la gestione del territorio; funzioni nel campo della tutela ambientale; funzioni nel campo dello sviluppo economico relative ai servizi del mercato del lavoro. È evidente che, soppresse le province, qualche altro ente dovrebbe curarle, a meno che la legge non ne sopprima anche le funzioni.
Il trend, comunque, delle spese correnti è fortemente in discesa, per effetto anche delle stringenti regole imposte dal patto di stabilità. In altre parole, per quanto ovvio sia imporre ulteriori misure di razionalizzazione e risparmio, quelle già esistenti hanno consentito di diminuire le spese correnti delle province tra il 2008 e il 2010 del 5,2 per cento.

NUOVE FUNZIONI PER LE PROVINCE

Non si deve dimenticare che le province hanno comunque un trend di spesa a geometria variabile. Infatti, molte delle spese, ivi comprese quelle legate al personale derivano dall’attribuzione di funzioni nuove e diverse da parte delle Regioni, in attuazione delle leggi Bassanini. Se i dipendenti delle province accertati dalla Ragioneria generale dello Stato attraverso il Conto del personale 2009 sono intorno ai 56mila, circa 6-7mila di coloro che operano presso i Centri per l’impiego sono transitati tra il 1999 e il 2000 dal ministero del Lavoro; altrettanti sono i dipendenti trasferiti dalle Regioni, in conseguenza del conferimento di funzioni, in particolare nel campo del turismo, dell’agricoltura, della formazione professionale, delle attività produttive.
I veri e propri “costi della politica” delle province concernono indennità e gettoni di presenza, pari a 113 milioni di euro. Ammettendo che la soppressione delle province possa consentire un forte abbattimento delle spese generali, stimate dall’Upi in circa 750 milioni di euro, la massa critica dei risparmi effettivamente conseguibili molto verosimilmente non andrebbe oltre i 2 miliardi di euro.
Ovviamente, si tratta di una cifra tutt’altro che da disdegnare. Che forse si può ottenere egualmente senza stravolgere l’organizzazione degli enti locali, con proposte di accorpamento non solo delle province, ma anche delle competenze, considerando che le province dovrebbero essere viste come naturali depositarie di funzioni oggi sparpagliate tra autorità d’ambito e di bacino e mille altre. Per non parlare, poi, della possibilità che siano proprio le province gli enti naturalmente destinati ad accompagnare il disegno di fusione dei piccoli comuni, avviato dalla manovra estiva 2011.

TAV TORINO-LIONE: COME DIMOSTRARE L'INDIMOSTRABILE

di Silvia Maffii e Marco Ponti 26.07.2011
LAVOCE.INFO

Una analisi costi-benefici sulla linea ferroviaria Torino-Lione riesce a dimostrare la redditività dell'opera. Un risultato sorprendente considerati i costi altimissimi e lo scarso traffico. Lo si ottiene però sorvolando su alcune prescrizioni previste dalle migliori prassi internazionali e senza considerare per esempio l'impatto ambientale del cantiere. Mentre le previsioni di domanda sono eccessivamente ottimistiche. Ciononostante la redditività è marginale e basterebbe abbassare una delle tante sovrastime per rendere non fattibile il progetto.
La controversa linea ferroviaria Torino-Lione è stata recentemente oggetto di una analisi economica (costi-benefici sociali) commissionata dai promotori dell’infrastruttura: tra il quasi unanime stupore - considerati gli altissimi costi dell'opera e lo scarso traffico - mostra risultati positivi. Qualunque studioso del settore ne dedurrebbe che, se risulta fattibile un’opera con questi numeri, probabilmente non esiste alcun investimento infrastrutturale non fattibile. In ogni caso, la priorità di questa specifica opera risulterebbe bassissima se fosse confrontata con altre. Ma l’analisi in questione, come d’altronde accade sempre nel nostro paese, non è stata fatta in termini comparativi con altri progetti e nemmeno con possibili alternative tecniche dello stesso progetto.

ERRORI D'ANALISI



Non è possibile entrare in poche righe nei dettagli tecnici di analisi così complesse, quindi ci limitiamo a una sintesi per punti dei principali difetti dello studio, che ne “spiegano” anche il risultato. Ci basiamo su quanto emerso da un seminario tenutosi a Roma, con la partecipazione di Fabio Pasquali del gruppo di lavoro analisi costi benefici della Torino Lione e dei due autori.

1. Mancano tre pre-condizioni per una analisi costi benefici accettabile: l’analisi non è “prudente”, non è “terza”, e non considera alternative tecniche.
Poiché le analisi internazionali ex post mostrano che nei progetti ferroviari di grandi dimensioni i costi sono sottostimati e i benefici sovrastimati, mediamente intorno al 50 per cento, la migliore prassi suggerisce atteggiamenti di grande cautela nei confronti di questi due parametri; la valutazione del progetto è stata finanziata dal soggetto promotore, Ltf, mentre la prassi suggerisce di condurre valutazioni terze. Infine non vengono considerate soluzioni tecniche alternative, né stradali né ferroviarie.
2. Mancano valutazioni del costo opportunità dei fondi pubblici. In presenza di forti vincoli di bilancio, la prassi internazionale richiede di tener conto dei riflessi economici degli aspetti finanziari, cioè dell’impatto sul livello di deficit pubblico che l’opera genera.
3. Non sono state valutate le esternalità ferroviarie, né quelle da cantiere.
La ferrovia ha certo un impatto ambientale inferiore alla strada, tuttavia non è nullo. Soprattutto, le emissioni da cantiere di CO2 presentano valori estremamente elevati, tali da ridurre fortemente i benefici dell’eventuale (e assai incerto) cambio modale.
4. Non è stato considerato il prevedibile impatto nei prossimi decenni del progresso tecnico.
Tale progresso non riguarderà solo i mezzi stradali (minor impatto ambientale, maggiore sicurezza), ma anche il modo ferroviario (carichi e velocità ottenibili sulla linea esistente maggiori degli attuali)
5. Alcuni costi di investimento sono considerati indipendenti dalla realizzazione del progetto, in particolare gli investimenti di più stretta competenza dei nodi: questa assunzione appare poco credibile.
Certamente almeno una parte degli investimenti per le merci nel nodo di Torino, in assenza di progetto Torino-Lione, non verrebbero effettuati, quindi si tratta di investimenti di pertinenza del progetto stesso.
6. Le previsioni di domanda non tengono conto degli ultimi dati messi a disposizione da Alpinfo, che segnalano un traffico in forte calo sul corridoio.
E per corridoio si intende sia la strada che le ferrovia. Le alternative al corridoio (linea costiera e tunnel svizzeri) risultano poi in fase di forte potenziamento. Nel caso della Svizzera vi sarà anche una concorrenza in termini tariffari, in presenza di offerta non satura.
7. Le previsioni di domanda sono talmente ottimistiche che dopo pochi anni di entrata in funzione dell’opera si avrebbero probabilmente problemi di saturazione su gran parte della rete ferroviaria nazionale.
L’ottimismo sulle previsioni di domanda ferroviaria è tale che si assisterebbe alla completa paralisi dei traffici ferroviari, in primo luogo sulle parti già cariche della rete, evidenziando priorità di intervento ben più urgenti.
8. Non sono state considerate eventuali strategie degli operatori stradali, né di quelli ferroviari, che verrebbero danneggiati dal progetto.
Il progetto prevede la sottrazione di traffico al modo stradale e agli altri valichi ferroviari: gli operatori, verosimilmente, reagiranno con politiche tariffarie aggressive e anche con efficientamento dei servizi.
9. Un quota cospicua dei benefici verrebbe dalla ridotta incidentalità, ma il beneficio è ottenuto applicando tassi del modo stradale ingiustificatamente elevati.
Vengono applicati valori propri dell’intera rete stradale nazionale, assai superiori a quelli autostradali, e non si tiene conto dei trend storici di riduzione degli incidenti e gli obiettivi di riduzione dell’incidentalità della Commissione europea.
10. Un beneficio particolare è dovuto alla riduzione degli incidenti nei tunnel stradali, a cui viene applicato un fattore moltiplicativo dei danni pari a 25.
Una assunzione di questa portata va giustificata portando a sostegno argomentazioni e letteratura, anche perché i benefici della sicurezza nello studio di Ltf costituiscono una quota cospicua dei benefici totali.
11. La metodologia di calcolo dei benefici del traffico deviato da altri modi non è corretta.
Questa è certo la questione più controversa, ma la teoria economica non sembra lasciare dubbi (pur non potendo qui dilungarsi sugli aspetti tecnici): i benefici economici di qualsiasi progetto pubblico vanno misurati in termini di variazioni del surplus sociale e non semplicemente dei costi. Questo errore è anche quello di maggior entità assoluta e secondo stime preliminari sarebbe tale (da solo) da far scendere il progetto molto al di sotto della soglia di fattibilità.
12. Nonostante tutto ciò, la redditività dell’analisi economica così calcolata è marginale, con valori che non superano il 5 per cento.
Ricordando che la soglia di redditività assunta come accettabile dalla Commissione europea è il 3,5 per cento, ciò significa che con ogni probabilità una sola, o un paio, delle sovrastime di redditività sopra citate è sufficiente a rendere il progetto non fattibile (“switch value”). Si tratta di una valutazione che appare estremamente incauta per giustificare una spesa pubblica (per la sola parte italiana) stimabile nell’ordine dei 10 miliardi di euro.

Il prezzo della guerra



Se aveva un senso molti anni fa la nostra presenza in Afghanistan (e anche quella degli altri, a dirla tutta), oggi non ce l'ha più. Troppe condizioni sono cambiate, l'unica costante è che ogni 2 mesi cade un altro militare.
L'ultimo è il 28enne caporalmaggiore David Tobini, ennesima vittima di una presenza militare divenuta nel tempo improduttiva, costosa e sempre meno comprensibile.
A oggi solo una parte davvero piccola degli obiettivi di quella missione sono stati raggiunti, e cioé tenere a bada alla meno peggio le frange terroristiche che si muovono nel paese. Ma a che prezzo?  
Per il resto risultati zero: il terrorismo internazionale è ancora vivo e vegeto, mentre l'Afghanistan non sta conoscendo nessuna democratizzazione, cosí come l'intera area non è più stabile di 10 anni fa.
È comprensibile, prima di tutto per ragioni psicologiche, che gli Usa fatichino a decidere di andarsene, ma per noi italiani è diverso, e forse è arrivato il momento di fare i bagagli.
Questo non solo perché perdiamo in media un giovane militare ogni 2-3 mesi, ma anche per altre ragioni. La prima e più impellente è che queste missioni ci costano un occhio della fronte e, molto banalmente, non possiamo più permettercele se non pagando un prezzo salatissimo. Ha senso aumentare i ticket della sanitá per far quadrare i conti, per poi bruciare milioni di euro in blindati e truppe in una missione di cui non si vede la fine?
Ma c'è anche una questione strategica. Fino a qualche anno fa la nostra presenza si spiegava anche in termini di alleanze e di un nostro ruolo internazionale. Oggi, pur non essendo mutate le alleanze, la situazione è molto diversa, visto che i paesi occidentali sono divisi e concentrati più sulla situazione economica che sulle questioni geopolitiche.
Non si capisce dunque il motivo per perseverare in una guerra a bassa intensità, priva di progressi tangibili e con un bilancio di vittime desolante, sebbene spalmato nel tempo. Avremmo inoltre dovuto imparare che interventi militari di questo tipo non sono mai né precisi negli obiettivi e nelle scadenze, né prevedibili, visto che finiscono tutti in uno stillicidio da Vietnam permanente, ma a minore intensità.
Qualche anno fa disertare sarebbe stato furbastro e inopportuno. Oggi è forse necessario, visto che non si capisce oggi quali vantaggi derivino dal rimanere lí.

lunedì 25 luglio 2011

LasciateCIEntrare

Quando razzismo e follia sono aiutati dalle armi

Per compiere il massacro sull'isola norvegese di Utoeya, Anders Behring Breivik avrebbe usato munizioni "dum-dum", vietate dal codice di guerra e utilizzate per la caccia agli elefanti: a sostenerlo è il capochirurgo dell'ospedale Ringerike, Colin Poole. Queste pallottole hanno la caratteristica di espandersi dopo aver centrato l'obiettivo, provocando ferite spaventose. Munizioni devastanti che sono pensate apposta per uccidere anche nel caso in cui non vengano colpiti organi vitali. La caratteristica tremenda di queste pallottole è quella di esplodere all'interno del corpo, provocando ferite difficilissime se non impossibili da curare. Chi viene colpito infatti, se non muore immediatamente, va incontro a una morte quasi certa per dissanguamento in un periodo più o meno lungo. La Convenzione dell'Aia le ha di fatto messe fuori legge e vengono usate solo per la caccia.




di BEPPE SEVERGNINI sul CORRIERE DELLA SERA del 25 Luglio 2011


Domanda: perché un uomo che invocava «l'uso del terrorismo come mezzo per risvegliare le masse» teneva in casa, legalmente, una mitraglietta Ruger Mini 14 semi-automatica?
Perché lo psicopatico che sognava di diventare «il più grande mostro dopo la Seconda guerra mondiale» - il suo diario pubblicato su Internet - ha potuto usare l'arma per condurre il suo sconvolgente safari umano?


In Norvegia ci sono 439.000 cacciatori - uno ogni dieci abitanti - ed esistono leggi severe sulle armi da fuoco: evidentemente, non bastano. Anders Behring Breivik ha confessato nel suo farneticante memoriale: «Invidio i nostri fratelli Americani perché le leggi sulle armi in Europa fanno schifo in confronto. Sulla domanda ho scritto: "...per la caccia al cervo". Sarei stato tentato di dire la verità: "...per giustiziare marxisti culturali/traditori multiculturali categoria A e B. Giusto per vedere la reazione"».


Simboli celtici e giallisti scandinavi, templari dilettanti e angoli bui nell'anima nordica: si discute di tutto, in queste ore, nel tentativo di spiegare l'inspiegabile. Di armi, però, si parla poco. Quasi fosse inevitabile che un cittadino si procuri una mitraglietta. Un prezzo da pagare alla modernità, uno dei tanti. E invece, se non ci fosse stata quell'arma, l'isoletta di Utoya - latitudine incerta, nome vagamente platonico - sarebbe rimasta un esotico indirizzo locale. I pazzi criminali ci sono sempre stati. Ma uno psicopatico con un coltello ammazza una persona, un fanatico con un fucile ne uccide due o tre. Un folle con una mitraglietta può sterminare dozzine di ragazzini, come se fossero leprotti in un recinto: ora lo sappiamo, purtroppo.


Il mantra dei cittadini armati è noto: «Non sono le armi che uccidono, sono gli uomini». D'accordo: ma gli uomini, senza armi, uccidono meno. O non uccidono proprio. Non è semplicismo: è semplice buon senso per tempi cattivi, anzi pessimi. Qualcuno dirà: un criminale riesce comunque a procurarsi ciò che vuole. Forse è così. Ma la ricerca lascerà tracce, e le tracce destano sospetti. Il placido acquisto di una semi-automatica è una tragedia che aspetta di accadere.
Molti americani, si sa, rifiutano questo discorso. Il diritto di portare armi è scritto nella Costituzione, viene da una storia dura e da una geografia difficile. Resta un fatto: quasi tutte le stragi degli ultimi anni sono avvenute perché lo psicopatico di turno aveva a disposizione un'arma sulla quale non avrebbe dovuto mettere le mani: Virginia Tech USA (2007, 33 morti); Jokela e Kauhajoki in Finlandia (2007 e 2008, 9 e 11 morti); Geneva County, Usa (2009, 10 morti); Bratislava, Slovacchia (2010, 8 morti); Cumbria, Uk (2010, 12 morti); Tucson e Grand Rapids, Usa (2011, 6 e 8 morti).


Certo, potremmo osservare che - salvo eccezioni - queste tragedie sembrano accadere in Paesi disciplinati e socialmente coesi: come se la pressione, senza sbocchi quotidiani, esplodesse con più violenza. Ma rischieremmo di scivolare nella sociologia. Concentriamoci su un fatto, ed è un fatto fondamentale. Una società matura deve prevedere la follia: non potendola evitare completamente, provi a limitarne i danni. Le armi automatiche e semi-automatiche vanno tolte dalla circolazione; le armi sportive, concesse con grandissima cautela.


In molti non sono d'accordo. La soluzione, secondo costoro, non è togliere di mezzo le armi: è armarsi tutti e di più. I sostenitori di questa tesi, nelle ultime ore, hanno invaso i social network e i blog - soprattutto negli Usa - ma non solo. La strage di Oslo - sostengono - dimostra che il «gun control» ha fallito; mentre la presenza di adulti armati sull'isola avrebbe impedito la tragedia. Rifiutano di ammettere che una mitraglietta è il mezzo con cui un omicidio diventa una strage, e una tragedia si trasforma in una catastrofe. Forse perché non avevano figli su quell'isola. Buon per loro.

Un decalogo per la città

Dal sito di Salvatore Vassallo (http://www.salvatorevassallo.it/interventi/convegni-e-conferenze-stampa/574-un-decalogo-per-le-citta) copio e incollo questa proposta, che nasce da DEMOCRATICA, la scuola di politica promossa da Walter Veltroni. Chiaramente la mia idea sarebbe quella di confrontare le proposte per gli altri territori e le altre città, con quello che stiamo facendo e quello che vorremmo fare per il nostro territorio e la nostra città.
Le elezioni del maggio 2011 hanno assegnato alle nuove amministrazioni una speciale responsabilità: corrispondere a.grandi aspettative conrisorse sempre più scarse. Il voto è stato un atto liberatorio contro la decadente fase terminale del berlusconismo e ha espresso una richiesta esigente di serietà, di sobrietà e di cambiamento che le nuove amministrazioni di centrosinistra devono onorare con una politica trasparente, capace di ascoltare i cittadini e decidere guardando al futuro, capace di fare meglio con meno. Il decalogo è una sintesi degli impegni prioritari elaborati alla luce del seminario di Democratica del 22 luglio che potrebbero tradursi in iniziative delle giunte comunali e in proposte legislative da assumere in sede parlamentare.
1. ISTITUZIONI  Istituire le città metropolitane prima delle prossime elezioni provinciali, termine superato il quale rinunciare a dibattere futilmente dell’argomento. Prima di definirne il perimetro, identificare funzioni ad esse conferite - aggiuntive rispetto alle attuali province, tra cui l’adozione di uno strumento di pianificazione urbanistica e della mobilità unitario - in grado di produrre una effettiva e percepibile semplificazione per i cittadini e le imprese. Fare in modo che il passaggio alla città metropolitana implichi un alleggerimento ed una maggiore efficacia delle strutture politico-amministrative, stabilendo che gli attuali consigli provinciali vengono sostituiti da assemblee di amministratori comunali e promuovendo contestualmente una razionalizzazione del tessuto dei piccoli comuni attraverso unioni o fusioni che portino la soglia dimensionale minima delle unità amministrative di base attorno ai 10.000 abitanti. Approvare la Carta delle autonomie locali in coerenza con questi indirizzi, istituire un Comitato interministeriale per le politiche urbane e affidare una delega specifica ad un Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.
2. FINANZA  Istituire la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, riequilibrare il peso delle manovre economiche tra ministeri centrali e autonomie territoriali, modificare il decreto legislativo sul fisco municipale per dare certezza di risorse ed effettiva autonomia impositiva alle comunità locali.
3. WELFARE • Sostenere il welfare di comunità, le azioni di contrasto all'esclusione sociale, l'integrazione degli immigrati stranieri regolari e le politiche per la sicurezza. Ripensare al sistema dei servizi e delle prestazioni incentivando il protagonismo dei cittadini, promuovendo e mettendo in valore il capitale sociale esistente. Promuovere ladomiciliarità utilizzando le risorse pubbliche secondo il principio disussidiarietà per sostenere l'iniziativa e la disponibilità del privato sociale e del volontariato. Valorizzare il Bilancio sociale come strumento non soltanto di rendicontazione ma di misurazione del valore sociale dei servizi e delle prestazioni e quindi d’indirizzo rispetto ai Piani di zona.
4. LAVORO  Creare ecosistemi urbani che favoriscano lo sviluppo e l'occupazione, soprattutto per i giovani e le donne, con misure a sostegno delle imprese che investono in ricerca e innovazione, seguendo gli obiettivi della strategia Europa 2020.
5. TERRITORIO  Una nuova legge di principi sul governo del territorio dovrà riaffermare il ruolo della pubblica amministrazione come soggetto responsabile della pianificazione territoriale e della costruzione delle politiche urbane. Obiettivo prioritario deve essere una drasticalimitazione del consumo di suolo, perseguita tramite unariqualificazione urbana diffusa e incentivata sul piano fiscale (sia nelle aree centrali, sia nelle periferie), anche attraverso vincoli e incentivi all’adozione di elevati standard antisismici e di risparmio energetico. No ai condoni edilizi e lotta alla piaga dell'abusivismo.
6. AMBIENTE  Impegnarsi, in ciascuna area metropolitana, a raggiungere i traguardi della strategia ambientale europea 20-20-20: ridurre le emissioni di CO2, aumentare l'efficienza energetica e la produzione di energia da fonti rinnovabili (eolico, biomasse, fotovoltaico). Investire in un nuovo rapporto fra centro urbano e campagna sostenendo lo sviluppo di attività agricole di prossimità (km 0) e nuove forme di economia verde per la manutenzione e la cura del territorio, l’efficienza e la sostenibilità del ciclo dei rifiuti, lo sviluppo delle rinnovabili.
7. TRASPORTO  Investire nelle infrastrutture di trasporto pubblico (bus, servizi ferroviari di bacino, tranvie, metropolitane) e nella mobilità sostenibile. Progettare la mobilità in chiave di area metropolitana, tenendo conto dei flussi che convergono verso il capoluogo per esigenze di studio o lavoro. Prevedere pedonalizzazioni di aree dei centri storici a valle (e non a monte) del progetto di mobilità, considerando sia le esigenze di migliore vivibilità delle aree centrali sia quelle di anziani o disabili, e avendo cura che non contribuiscano alla desertificazione dei centri storici ma che, al contrario, restituiscano ai cittadini e alle attività economiche il pieno godimento degli spazi pubblici.
8. CONOSCENZA  Sviluppare le reti di nuova generazione a banda ultralarga secondo gli obiettivi dell'Agenda digitale europea. Realizzare campus universitari, strutture di edilizia scolastica e sportiva per la formazione dei giovani e la ricerca. Valorizzare il patrimonio artistico, i centri storici e le attività culturali come volano di sviluppo delle città.
9. TRASPARENZA  Selezionare i manager pubblici e chi rappresenta il comune negli enti partecipati non solo fissando criteri inequivocabili di competenza e procedure trasparenti per le nomine, ma anche costruendo sistemi di valutazione dei risultati raggiunti di evidenza pubblica per le categorie di operatori e utenti interessati oltre che per i cittadini.
10. PARTECIPAZIONE  Sperimentare nuovi strumenti di partecipazione per consultare i cittadini sulle scelte più rilevanti, facendone un momento costruttivo  - e non solo di mera ratifica di decisioni già prese. Lo si può fare rivolgendosi a panel di cittadini attivi a cui viene chiesta la disponibilità ad essere antenne dell’opinione pubblica nei loro mondi professionali e di vita, come nel caso della “banda larga” costituita a Bologna, oppure a panel selezionati scientificamente affinché siano rappresentativi della popolazione, come nel caso delle cosiddettegiurie dei cittadini o del bilancio partecipativo che attribuisce ai cittadini coinvolti la possibilità di allocare una piccola percentuale delle risorse comunali. Altre forme di coinvolgimento che possono essere sperimentate consistono in interazioni tra amministratori e cittadini attraverso il web.

domenica 24 luglio 2011

Casta: la differenza tra lo stipendio dei parlamentari e il reddito degli italiani - AgoraVox Italia

Casta: la differenza tra lo stipendio dei parlamentari e il reddito degli italiani - AgoraVox Italia


Cliccate sul link per visualizzare i grafici che mettono a confronto i redditi dei politici italiani con quelli dei pari grado europei. E capite ancora meglio che così non può andare...
Ringrazio Lavoce.info per lo studio comparativo.

sabato 23 luglio 2011

L'elicottero al peperoncino di Renata Polverini

Per fortuna che almeno la Presidente Polverini ha messo mano al dissesto della malasanità laziale... a proposito, Presidente, a che punto siamo?
E comunque complimenti al suo accompagnatore