venerdì 4 febbraio 2011

FEDERALISMO: IERI, GRAZIE AL SEN. STRADIOTTO, ABBIAMO FATTO UN BEL PO' DI LUCE DOVE - VOLUTAMENTE - REGNA TANTA CONFUSIONE...



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LO PSICODRAMMA DELLE IMPOSTE COMUNALI


Il decreto sul federalismo municipale ha rischiato di mettere fine alla legislatura ed è ora al centro di una forte tensione istituzionale. Ma rappresenta davvero il passaggio cruciale per la costruzione del federalismo nel nostro paese? Il provvedimento è tutto sommato assai modesto. Manca comunque una regolamentazione adeguata del sistema perequativo dei comuni. Mentre l'ossessione per il vincolo di invarianza della pressione fiscale rischia di snaturare il federalismo, il cui principale obiettivo è rendere i sindaci responsabili davanti ai propri cittadini.
Ieri il governo ha approvato il decreto legislativo sul federalismo municipale, dopo che questo non aveva ottenuto parere positivo dalla Commissione bicamerale. La Lega minacciava le elezioni in caso di blocco. Ora con la decisione del governo si creano tensioni istituzionali con il Quirinale e si rischia il deterioramento dei rapporti politici nella Commissione bicamerale. Ma il decreto rappresenta davvero il passaggio cruciale per la costruzione del federalismo nel nostro paese? La posta in gioco è in realtà esclusivamente politica: di vero cambiamento nel provvedimento c’è ben poco.


MOLTO RUMORE PER UN PROVVEDIMENTO MODESTO


La Lega aveva annunciato che nel caso in cui il decreto sul federalismo municipale fosse stato bocciato dalla Commissione bicamerale, le elezioni sarebbero state inevitabili. Il parere della maggioranza sul decreto - che durante i lavori della bicamerale era stato emendato in alcune parti per raccogliere il consenso dell’Anci - è stato respinto. In assenza di un parere da parte della bicamerale, si è fatto ricorso a una procedura di dubbia legittimità: il Consiglio dei ministri ha approvato “in via definitiva” il decreto legislativo, non nella versione originaria – come certamente gli sarebbe consentito – ma in quella formulata nel parere respinto. La responsabilità di dirimere la questione è ora nelle mani del Quirinale che deve promulgare il decreto.
Ma veramente la legislatura ha rischiato di cadere, ed è giustificata la tensione istituzionale in atto, per una riformina come quella delle imposte comunali? È a questo psicodramma che ci condanna la bandiera troppo sventolata della “madre di tutte le riforme”.
Una riforma, quella del federalismo fiscale, che più si va avanti nella sua formulazione (di effettiva applicazione si parlerà tra qualche anno) più si rivela per quello che altro non poteva essere: un riassetto, un riaggiustamento di un sistema di decentramento fiscale che già esiste e che è il risultato di almeno un ventennio di progressivi interventi.
Il decreto sul fisco comunale esemplifica alla perfezione il terreno malato su cui sta crescendo la riforma del federalismo fiscale. Il provvedimento è, tutto sommato, assai modesto: si cambia nome all’Ici (ribattezzandola Imu), si “patrimonializza” nell’Imu l’Irpef (e le relative addizionali) sui redditi degli immobili non locati, si crea una compartecipazione sulla tassazione erariale dei trasferimenti immobiliari, si introduce – ma che c’entra con il federalismo fiscale? – un’imposta sostitutiva dell’Irpef sugli affitti per “rilanciare” il mercato delle locazioni. Le misure introdotte mancano poi spesso di coerenza con una visione di insieme del sistema tributario nazionale. Di fatto la riforma si esaurisce in uno spostamento del carico fiscale dai proprietari di case (le seconde a disposizione e quelle date in locazione) alle imprese e ai lavoratori autonomi. L’unica cosa veramente importante, ovvero riportare a tassazione i proprietari di prima casa per ricreare un rapporto di responsabilità tra amministratori locali e cittadini, non si è avuto il coraggio di farla.
La riforma, oltre ad essere modesta, è monca. Manca il pezzo più importante: una regolamentazione adeguata del sistema perequativo dei comuni. La componente tributaria del sistema di finanziamento dei comuni dice poco se non è coordinata con quella dei trasferimenti perequativi. In assenza di coordinamento restano del tutto indeterminati gli effetti redistributivi (tra territori, e quindi anche tra Nord e Sud, e tra tipologie di comuni) delle nuove fonti di finanziamento municipale.


IL SÌ DEI COMUNI


La riforma, nella sua versione finale, è stata valutata positivamente dall’Anci (così come quella sul fisco regionale è stata approvata dalla Conferenza delle Regioni). Non è una garanzia di qualità. Comuni e Regioni sono stati chiamati a pronunciarsi sotto il ricatto dei pesanti tagli delle risorse che hanno subito, da ultimo, nella manovra d’estate. Il criterio che li ha guidati è stato quello di portare subito a casa qualche soldo per chiudere i bilanci. E con il fiato corto, si sa, le questioni più strutturali di disegno della riforma passano in secondo piano.
L’unico vero punto di interesse che la riforma del fisco comunale ha suscitato nel dibattito corrente è l’angoscioso interrogativo: ma alla fine le imposte aumenteranno? Una domanda che ha però ben poco a che vedere con la realizzazione del federalismo. Al contrario, l’ossessione per il vincolo di invarianza della pressione fiscale rischia di snaturare il federalismo, che ha come suo principale obiettivo quello di rendere responsabili i sindaci davanti ai propri cittadini, ponendo questi ultimi nella posizione di giudicare se vi è corrispondenza fra le imposte che pagano e la qualità e quantità dei servizi che ricevono.


LE PENULTIME SORPRESE DI UN DECRETO CHE CONTINUA A CAMBIARE


Per permettere un'ulteriore mediazione tra il governo e gli enti locali, il decreto sulla fiscalità municipale è stato parzialmente riscritto. Questo articolo è stato scritto e pubblicato su questo sito prima del voto negativo in Commissione di giovedì 3 febbraio e prende in considerazione il testo uscito dal confronto tra Governo e Comuni. Questa versione è più precisa sulla gestione del Fondo sperimentale nella fase transitoria. Ma risulta quantomeno discutibile il dichiarato superamento di un sistema a finanza derivata. L'aliquota Imu rimane fissata a livello centrale. I comuni hanno ottenuto lo sblocco dell'addizionale Irpef, la maggiore compartecipazione sulle sanzioni e l'estensione dell'imposta di soggiorno.
Giovedì 3 febbraio la Commissione bicamerale sul federalismo fiscale si è pronunciata negativamente sul decreto relativo alla fiscalità municipale. Questo articolo è stato scritto prima del voto in Commissione. Il voto era slittato di una settimana, e il decreto era stato parzialmente riscritto, per permettere un’ulteriore mediazione tra le parti, in particolare tra il governo e gli enti locali. A seguito della riscrittura, l’Anci ha dato parere favorevole al provvedimento. Ma è evidente che le vicissitudini di questo provvedimento riflettono anche il particolare momento politico che il Paese sta attraversando e dipendono fino a un certo punto dai contenuti del decreto stesso. Ma quali sono le novità intervenute dopo il confronto con l’Anci rispetto al testo originale, già commentato in precedenza? Ecco le principali.


IL FONDO DI RIEQUILIBRIO


Il decreto fornisce qualche informazione in più sulla costituzione e la gestione del Fondo sperimentale di riequilibrio, che nella fase transitoria (tre anni, cioè dal 2011 al 2014) sostituisce il Fondo perequativo. Il Fondo è ora alimentato dal gettito o, a seconda del tributo, da una quota del 30 per cento del gettito, di una serie di imposte erariali sul possesso e il trasferimento degli immobili (le stesse già elencate nella vecchia versione del decreto). A questi si aggiunge una quota del gettito della nuova cedolare secca sugli affitti, che in opzione, sostituirà la tassazione di questi redditi nell’Irpef. Tale quota è pari al 21,7 per cento nel 2011 e al 21,6 per cento nel 2012, ma potrà essere variata ex post dal governo al fine di garantire il rispetto dei saldi di finanza pubblica. Le risorse previste da questa operazione, per il 2011, si aggirano intorno agli 8,5 miliardi di euro. Maggiori informazioni si hanno anche sul riparto del Fondo, che verrà destinato per il 30 per cento in base al numero di residenti, con modalità diverse per i comuni che esercitano in modo associato le funzioni fondamentali. I criteri per il riparto del restante 70 per cento verranno definiti con successivo decreto ministeriale, sulla base delle stime dei nuovi fabbisogni standard che nel frattempo dovrebbero essere effettuate dalla Sose in collaborazione con l’Ifel. In questa nuova versione, i comuni ottengono anche una compartecipazione al gettito Irpef dei propri residenti in misura pari al 2 per cento, per un cifra complessiva pari a circa 3 miliardi di euro.
Due osservazioni. La prima è che benché la relazione tecnica al decreto e la comunicazione politica parlino di “nuove” risorse a favore dei comuni, in realtà il saldo è a somma zero: ogni risorsa in più è compensata da una riduzione di medesimo valore dei trasferimenti erariali. Dunque, nulla cambia in termini di risorse complessive per l'insieme dei comuni, anche se ci potrebbero essere ora differenze a livello di singolo ente a seconda dei criteri di riparto che saranno decisi per il Fondo. La seconda osservazione è che si tratta, in tutti i casi, di risorse non modificabili da parte dei Comuni, nei fatti dei semplici trasferimenti.


COMPARTECIPAZIONI DALL’EMERSIONE DI IMMOBILI


Risorse veramente aggiuntive per i comuni potrebbero venire dall’attività di accertamento e dall’emersione di immobili non accatastati. Qui infatti il decreto quadruplica le sanzioni contro i contribuenti disonesti e aumenta la compartecipazione dei comuni al gettito addizionale risultante. A questi fini, i comuni ottengono anche l’accesso alle banche dati ministeriali relative ai propri contribuenti.


CEDOLARE SECCA SUGLI AFFITTI


Per quanto riguarda la cedolare secca sugli affitti (un’opzione per i contribuenti), già prevista nella versione precedente del decreto, la novità è che la aliquota viene ora definita al 21 per cento, con una agevolazione al 19 per cento per i contratti a canone concordato relativi ad abitazioni situate in comuni ad alta tensione abitativa. Come si è già detto, il decreto stabilisce anche un’aliquota di compartecipazione al gettito, specificando che a partire dal 2014, questo potrà anche essere devoluto interamente ai comuni, sempre a fronte di un eguale riduzione dei trasferimenti.


IMPOSTA DI SOGGIORNO


Novità di rilievo riguardano la possibilità di introdurre un’imposta di soggiorno (fino a 5 euro per notte di soggiorno) che viene ora estesa non solo a tutti i comuni capoluogo ma anche alle unioni di comuni e ai comuni di particolare rilevanza turistica. Il gettito resta vincolato a interventi in materia di turismo, ma con un’estensione a tutti i servizi pubblici locali relativi, rendendolo dunque nei fatti più liberamente fruibile da parte dei sindaci.


SBLOCCO DELL’ADDIZIONALE


I comuni hanno ottenuto anche il parziale sblocco dell’addizionale comunale sull’Irpef, bloccata dal ministro Tremonti due anni fa. In particolare, i comuni che non l’avevano usata prima, potranno ora imporre l’addizionale fino a un massimo dello 0,4 per cento in due anni. Il governo si è anche impegnato a emanare un decreto, nel giro di sessanta giorni, che regoli la situazione anche per gli altri.


LE NUOVE IMPOSTE MUNICIPALI


Novità anche per quello che riguarda le nuove imposte municipali (propria e secondaria) che verranno introdotte a partire dal 2014. Per l’imposta municipale propria, che incide su tutti gli immobili eccetto quelli destinati ad abitazione principale del proprietario (o di colui che gode del diritto reale sull’immobile), viene ora definita l’aliquota di riferimento, senza più rimandarla a una decisione annuale autonoma del governo. In particolare, l’aliquota ordinaria viene fissata allo 0,76 per cento con possibilità di variazione dei comuni fino allo 0,3 per cento (lo 0,2 per cento per gli immobili sottoposti ad aliquota dimezzata, sostanzialmente gli immobili locati). L’incremento moderato dell’aliquota rispetto a quella attuale massima dell'Ici (lo 0,7 per cento) è stato ottenuto eliminando la riduzione dell’aliquota alla metà per gli edifici commerciali prevista in precedenza. I Comuni possono ancora introdurre questa agevolazione per gli edifici commerciali, ma con decisione autonoma. Dato che la nuova Imu deve finanziare la eliminazione dei redditi fondiari dalla base imponibile dell’Irpef (per circa 1,7 miliardi) questo implica un regalo per i contribuenti persone fisiche e un aggravio per le società.
Una seconda novità sull’Imu è che non si prevede più che i tributi erariali sul trasferimento degli immobili scompaiano, diventando parte della base imponibile della nuova imposta. Questi rimangono, ma i comuni ottengono una compartecipazione al gettito che contribuisce a finanziare il Fondo sperimentale.
Infine, l’imposta municipale secondaria, che sostituirà la Tosap e altre imposte municipali minori, diventa ora obbligatoria e non più facoltativa.


COSA CAMBIA


La nuova versione del decreto fornisce risposte ad alcuni interrogativi ed è più precisa rispetto alla gestione del Fondo sperimentale nella fase transitoria. Ciononostante, il dichiarato superamento di un sistema a finanza derivata risulta quantomeno discutibile. L’aliquota dell’Imu rimane fissata a livello centrale e gli spazi di manovra per i comuni sono molto ridotti. Le novità ottenute dai comuni, quelle che probabilmente li hanno convinti a cambiare parere sul decreto, sono lo sblocco dell’addizionale Irpef, la maggiore compartecipazione sulle sanzioni e l’estensione dell’imposta di soggiorno a una cerchia più ampia di soggetti.



da LA VOCE

2 commenti:

  1. Non si può parlare di federalismo se non si mette mano a tre riforme:
    revisione del patto di stabilità dei comuni;
    determininazione dei costi effettivi standard;
    rio-organizzazione dei livelli intermedi.
    Questo federalismo non fa niente di tutto questo.
    In compenso centralizza ogni decisione.
    Basta coi Bossi e i Calderoli! Ci vuole una rifondazione leghista!

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