giovedì 17 marzo 2011

Discorso sulla Costituzione Di Piero Calamandrei




Il discorso qui riprodotto fu pronunciato da Piero Calamandrei nel salone degli Affreschi della Società Umanitaria il
26 gennaio 1955 in occasione dell’inaugurazione di un ciclo di sette conferenze sulla Costituzione italiana organizzato
da un gruppo di studenti universitari e medi per illustrare in modo accessibile a tutti i principi morali e giuridici che
stanno a fondamento della nostra vita associativa.


L’art.34 dice:” I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi
più alti degli studi”. Eh! E se non hanno i mezzi? Allora nella nostra costituzione c’è un articolo che
è il più importante di tutta la costituzione, il più impegnativo per noi che siamo al declinare, ma
soprattutto per voi giovani che avete l’avvenire davanti a voi. Dice così:
”E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando
di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana
e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del
Paese”.
E’ compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana: quindi
dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare una scuola a tutti, dare a tutti gli uomini
dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula
contenuta nell’art. primo- “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro “-
corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di
studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra
Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche
democratica perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia
soltanto una uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale, non è una democrazia in
cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della società, di portare il
loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a
questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la società.
E allora voi capite da questo che la nostra costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è
una realtà. In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno di lavoro da
compiere. Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi sta dinanzi!
E‘ stato detto giustamente che le costituzioni sono anche delle polemiche, che negli articoli delle
costituzioni c’è sempre anche se dissimulata dalla formulazione fredda delle disposizioni, una
polemica. Questa polemica, di solito è una polemica contro il passato, contro il passato recente,
contro il regime caduto da cui è venuto fuori il nuovo regime.
Se voi leggete la parte della costituzione che si riferisce ai rapporti civili politici, ai diritti di libertà,
voi sentirete continuamente la polemica contro quella che era la situazione prima della Repubblica,
quando tutte queste libertà, che oggi sono elencate e riaffermate solennemente, erano
sistematicamente disconosciute. Quindi, polemica nella parte dei diritti dell’uomo e del cittadino
contro il passato.
Ma c’è una parte della nostra costituzione che è una polemica contro il presente, contro la società
presente. Perché quando l’art. 3 vi dice: “ E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana” riconosce che
questi ostacoli oggi vi sono di fatto e che bisogna rimuoverli. Dà un giudizio, la costituzione, un
giudizio polemico, un giudizio negativo contro l’ordinamento sociale attuale, che bisogna
modificare attraverso questo strumento di legalità, di trasformazione graduale, che la costituzione
ha messo a disposizione dei cittadini italiani.
Ma no è una costituzione immobile che abbia fissato un punto fermo, è una costituzione che apre le
vie verso l’avvenire. Non voglio dire rivoluzionaria, perché per rivoluzione nel linguaggio comune
s’intende qualche cosa che sovverte violentemente, ma è una costituzione rinnovatrice, progressiva,
che mira alla trasformazione di questa società n cui può accadere che, anche quando ci sono, le
libertà giuridiche e politiche siano rese inutili dalle disuguaglianze economiche dalla impossibilità
per molti cittadini di essere persone e di accorgersi che dentro di loro c’è una fiamma spirituale che
se fosse sviluppata in un regime di perequazione economica, potrebbe anche essa contribuire al
progresso della società. Quindi, polemica contro il presente in cui viviamo e impegno di fare quanto è in noi per trasformare questa situazione presente.
Però, vedete, la costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La
costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni
giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di
mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla
costituzione è l’indifferenza alla politica, l’indifferentismo politico che è -non qui, per fortuna, in
questo uditorio, ma spesso in larghe categorie di giovani- una malattia dei giovani.
”La politica è una brutta cosa”, “che me ne importa della politica”: quando sento fare questo
discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina,, che qualcheduno di voi conoscerà, d
quei due emigranti, due contadini, che traversavano l’oceano su un piroscafo traballante. Uno di
questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran
burrasca con delle onde altissime e il piroscafo oscillava: E allora questo contadino impaurito
domanda a un marinaio: “Ma siamo in pericolo?”, e questo dice: “Se continua questo mare, il
bastimento fra mezz’ora affonda”. Allora lui corre nella stiva svegliare il compagno e dice: “Beppe,
Beppe, Beppe, se continua questo mare, il bastimento fra mezz’ora affonda!”. Quello dice: ” Che
me ne importa, non è mica mio!”. Questo è l’indifferentisno alla politica.
E’ così bello, è così comodo: la libertà c’è. Si vive in regime di libertà, c’è altre cose da fare che
interessarsi alla politica. E lo so anch’io! Il mondo è così bello, ci sono tante cose belle da vedere,
da godere, oltre che occuparsi di politica. La politica non è una piacevole cosa. Però la libertà è
come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di
asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi,
giovani, di non sentire mai, e vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in
quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo
dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio
contributo alla vita politica.
La costituzione, vedete, è l’affermazione scritta in questi articoli, che dal punto di vista letterario
non sono belli, ma è l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della
sorte comune, che se va a fondo, va a fondo per tutti questo bastimento. E’ la carta della propria
libertà, la carta per ciascuno di noi della propria dignità di uomo.
Io mi ricordo le prime elezioni dopo la caduta del fascismo, il 2 giugno 1946, questo popolo che da
venticinque anni non aveva goduto le libertà civili e politiche, la prima volta che andò a votare dopo
un periodo di orrori- il caos, la guerra civile, le lotte le guerre, gli incendi. Ricordo- io ero a Firenze,
lo stesso è capitato qui- queste file di gente disciplinata davanti alle sezioni, disciplinata e lieta
perché avevano la sensazione di aver ritrovato la propria dignità, questo dare il voto, questo portare
la propria opinione per contribuire a creare questa opinione della comunità, questo essere padroni di
noi, del proprio paese, del nostro paese, della nostra patria, della nostra terra, disporre noi delle
nostre sorti, delle sorti del nostro paese.
Quindi, voi giovani alla costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere,
sentirla come cosa vostra, metterci dentro il senso civico, la coscienza civica, rendersi conto- questa
è una delle gioie della vita- rendersi conto che ognuno di noi nel mondo non è solo, che siamo in
più, che siamo parte di un tutto, nei limiti dell’Italia e nel mondo.
Ora vedete- io ho poco altro da dirvi-, in questa costituzione, di cui sentirete fare il commento nelle
prossime conferenze, c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato. Tutti i nostri dolori, le
nostre sciagure, le nostre glorie son tutti sfociati in questi articoli. E a sapere intendere, dietro questi
articoli ci si sentono delle voci lontane.
Quando io leggo nell’art. 2, ”l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale”, o quando leggo, nell’art. 11, “l’Italia ripudia la guerra come strumento di
offesa alla libertà degli altri popoli”, la patria italiana in mezzo alle alte patrie, dico: ma questo è
Mazzini; o quando io leggo, nell’art. 8, “tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere
davanti alla legge”, ma questo è Cavour; quando io leggo, nell’art. 5, “la Repubblica una e
indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali”, ma questo è Cattaneo; o quando, nell’art.
52, io leggo, a proposito delle forze armate,”l’ordinamento delle forze armate si informa allo
spirito democratico della Repubblica” esercito di popolo, ma questo è Garibaldi; e quando leggo, all’art. 27, “non è ammessa la pena di morte”, ma questo, o studenti milanesi, è Beccaria. Grandi
voci lontane, grandi nomi lontani.
Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quanto sangue e quanto dolore per arrivare a questa
costituzione! Dietro a ogni articolo di questa costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani
come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di
concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di
Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta.
Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, questo è un
testamento, un testamento di centomila morti.
Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle
montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono
impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col
pensiero perché lì è nata la nostra costituzione.

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