martedì 8 marzo 2011

Crisi, la sanità italiana perde i suoi primati più a rischio cuore e salute delle donne. DI QUESTE COSE NESSUNO NE PARLA...

Secondo il Rapporto Osservasalute 2010, il sistema sanitario nazionale arretra su quel rapporto costi-benefici che l'aveva reso nel 2000 il secondo migliore al mondo. L'aspettativa di vita al femminile negli ultimi 5 anni è aumentata di soli tre mesi. Un italiano su 10 l'anno scorso non si è potuto permettere il dentista. Cresce il consumo di cocaina e di antidepressivi. Il ritratto di un Paese che invecchia più grasso e pigro


Più grassi, pigri e 'acciaccati'. La salute degli italiani, e delle italiane soprattutto, per quanto ancora discreta, sta perdendo colpi a causa di cattivi stili di vita. Cresce il consumo di antidepressivi, ma anche quello di cocaina e alcol. Il declino però non dipende solo da cattiva volontà, sedentarietà e poca attenzione nei confronti dei abitudini di vita corrette, ma anche dalle condizioni del Servizio sanitario nazionale. Alla riduzione degli investimenti economici per la prevenzione si aggiunge il problema della chiusura degli ospedali che, sebbene pensata per razionalizzare il sistema, determina di fatto una riduzione dei posti letto e della ricettività per le emergenze.

Sono questi i dati di fondo che emergono dall'ottava edizione del Rapporto Osservasalute (2010), un'analisi dello stato di salute della popolazione e della qualità dell'assistenza sanitaria nelle regioni italiane. Il rapporto è pubblicato dall'Osservatorio nazionale sulla salute dell'università Cattolica di Roma e coordinato da Walter Ricciardi, direttore dell'Istituto di igiene della facoltà di Medicina e chirurgia.

La crisi sul sistema sanitario. Per effetto della crisi economica, si legge nel rapporto, la sanità italiana ha quasi completamente eroso quel "vantaggio di costo" che aveva contribuito, nel 2000, al suo posizionamento come secondo miglior sistema sanitario al mondo nel ranking dell'Organizzazione mondiale della sanità. Basti pensare che l'anno scorso un italiano su 10 (9,7% delle persone dai 16 anni in su), pur avendone necessità, non ha potuto sottoporsi a visita odontoiatrica per ragoioni economiche. "A questo si aggiunge - dice Walter Ricciardi - l'incapacità del Ssn di rispettare i tetti di spesa. Per le singole aziende, il disavanzo è la normalità anziché l'eccezione. E ci sono forti differenze tra Centro-Nord e Centro-Sud: Lazio, Campania e Sicilia da sole hanno generato il 69% dei disavanzi accumulati nel periodo 2001-2009. Di qui il carattere asimmetrico del federalismo sanitario italiano". Le esigenze di contenimento della spesa si vedono anche dal calo dei ricoveri e soprattutto delle giornate di degenza.

Una frattura tra regioni preoccupante, dice il rapporto, anche in vista dell'attuazione del federalismo: quelle più deboli rischiano di essere travolte da Piani di rientro e commissionariamenti. "La soluzione c'è - dice Walter Ricciardi - : alla necessaria azione di risanamento dei conti deve essere infatti affiancata una coerente strategia di programmazione e controllo dei servizi sanitari, basata su evidenze epidemiologiche e scientifiche forti, senza le quali i problemi delle regioni in difficoltà sono destinati ad aggravarsi in modo progressivo".

Il gap Nord-Sud sulla bilancia. In Italia 50mila decessi l'anno dipendono dall'obesità. Più di un terzo degli adulti (35,5%) è in sovrappeso, mentre circa una persona su dieci è obesa; in totale il 45,4% della popolazione è in eccesso ponderale. Il problema riguarda anche bambini e adolescenti. Tra gli otto e i nove anni sovrappeso e obesità riguardano rispettivamente il 22,9% e l'11,1% dei bambini, con ampia variabilità regionale: dall'11,4% di bimbi in sovrappeso in provincia di Bolzano al 28,3% dell'Abruzzo, dal 3,5% di piccoli obesi trentini al 20,5% di alcune città della Campania. Essere obesi fin da bambini, ricorda il rapporto, significa andare incontro a difficoltà respiratorie, problemi articolari, disturbi dell'apparato digerente e di carattere psicologico, e sviluppare sempre prima fattori di rischio quali ipertensione, malattie coronariche, diabete di tipo 2 e ipercolesterolemia.

La salute delle donne "frena". Inizia a sgretolarsi il dato storico che vedeva le italiane più longeve e più in salute. Negli ultimi cinque anni, l'aspettativa di vita delle donne è aumentata di appena tre mesi (da 84 anni nel 2006 a 84,1 anni nel 2009, 84,3 nel 2010), mentre per gli uomini è aumentata di sette mesi (da 78,4 anni nel 2006 a 78,9 anni nel 2009, 79,1 nel 2010). Le donne sono anche svantaggiate nella lotta ai 'big killer': tumori e malattie cardiovascolari preferiscono il genere femminile. "Una conseguenza - dice la professoressa Roberta Siliquini, ordinario di Igiene all'Università di Torino - legata ai mutamenti comportamentali: si pensi all'abitudine al fumo per la quale pare che le recenti politiche abbiamo avuto uno scarso successo sulle donne (percentuali di ex fumatori del 16% per le donne e 39% per i maschi) ed alla ridotta abitudine a praticare sport (38% uomini vs 24% donne)". A questo si aggiunge la scarsa attenzione alla prevenzione: il 62% fa lo screening mammografico; la percentuale di tagli cesarei è ancora elevatissima (40%).

Si mangia male e si fa poco movimento. Poco più di cinque persone su cento consumano la quantità di frutta e verdura raccomandata: 5 porzioni al giorno. Si fa fatica a seguire una dieta equilibrata. Dal 2001 è aumentato il numero delle persone che consuma cibi ricchi di grassi, zuccheri semplici, dolci, snack salati, bevande gassate e alcoliche. Le regioni più virtuose sono sempre quelle del Centro-Nord: dove è più diffusa l'abitudine di pranzare fuori casa si registra una percentuale più elevata di persone che dichiarano di mangiare cinque e più porzioni al giorno di ortaggi e frutta. Preoccupa invece la crescita dell'abitudine di bere alcolici fuori pasto, anche diversi da birra e vino, soprattutto nella fascia di età 18-24 anni. La prevalenza di bevitori a rischio riguarda un uomo su quattro (il 25,4%) e quasi una donna su dieci (il 7%). Alla cattiva alimentazione si aggiunge anche la pigrizia: sebbene il numero degli sportivi sia cresciuto rispetto al 2009, si fa poca attività fisica, specie al Sud.

Fumo e droga. Dai 14 anni in su fumano due persone su dieci (22,2%), un dato stabile negli ultimi anni. Aumenta (di pochissimo) invece il numero degli ex fumatori: è passato dal 20,1% del 2001 al 22,9% del 2008. Il Centro-Nord batte il Sud: Valle d'Aosta 25,7%, Umbria 27,3%, Campania 18,9% e Calabria 17,9%. Il numero medio di sigarette fumate quotidianamente è di 13,5, quota che aumenta man mano che si scende verso Sud. Preoccupa la cocaina: dal 2003 il consumo è aumentato in quasi tutte le regioni.

Cervello e cuore. Continua il trend di crescita del consumo di antidepressivi negli ultimi sette anni, come già visto nel precedente Rapporto (+310%). Il fenomeno interessa indistintamente tutte le regioni ed è attribuibile a diversi fattori come l'aumento del disagio sociale e la tendenza dei medici di famiglia a prescrivere sempre più psicofarmaci. Le cause di morte più frequenti sono quelle connesse alle malattie del sistema circolatorio (39% di tutti i decessi registrati annualmente). In particolare, malattie ischemiche del cuore e cerebrovascolari costituiscono circa il 24% della mortalità generale. Nel nostro Paese si stima che, annualmente, sono oltre 300mila gli anni potenziali di vita perduta dalle persone di età non superiore a 65 anni decedute per patologie cardiovascolari.

Un Paese in crescita, ma vecchio. Aumenta la popolazione residente in Italia rispetto al biennio 2007-2008, principalmente perché cresce il numero di immigrati che abita nel nostro Paese. Nel biennio 2008-2009 l'Italia presenta un saldo totale positivo pari a + 6 persone per 1000 residenti per anno. Il numero medio di figli per donna si attesta, nel 2008, a1,4 figli per donna in età feconda, un valore inferiore al livello di sostituzione: ossia quello che garantirebbe il ricambio generazionale che è pari a 2,1 figli per donna. La lieve ripresa (l'anno scorso era 1,373) è imputabile sia alla crescita (specie nel Centro-Nord) dei livelli di fecondità delle over 30 anni, ma soprattutto e all'apporto delle immigrate. Quanto all'età, il 10,3% della popolazione è "anziana" (65-74 anni), il 9,8% è "molto anziana" (75 anni e oltre).

DA REPUBBLICA

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