giovedì 24 marzo 2011

IL DOMANI D'ITALIA, ovvero c'è bisogno di una nuova classe dirigente

Torna Il Domani d’Italia
Il foglio di Romolo Murri, profeta della prima Democrazia cristiana, nato nel 1900 per rinnovare la cultura civile e politica dei cattolici, rivive nel 2011 e diventa lo spazio politico e d’opinione dei modem-popolari. Presidente del comitato editoriale, composto da Lucio D’Ubaldo e Giuseppe Sangiorgi, è Beppe Fioroni.




Il magazine si propone come contributo “non più eclettico e disordinato, dei democratici che vogliano e sappiano unire nel loro impegno politico il valore della laicità e il senso dell’ispirazione cristiana (…), pronti al compito di restituire un soffio ideale alla battaglia politica”. Uno spazio per ridare voce ad una serie di sensibilità che sono state tagliate fuori e sono rimaste ai margini dei processi decisionali. Ma anche un avvertimento chiaro alla bocciofila: o si ritorna ad un Pd nello schema originario veltroniano oppure si rischia l’uscita in massa dei moderati.
In realtà sono molti ad avere abbandonato già la nave. Il malcontento tra i popolari è diffuso: la fuga è verso gruppi misti, Terzo polo, liste civiche. Fioroni, per ora, rimane dentro, ma la sua linea politica e la prospettiva sono chiare. Con l’editoriale uscito sul Domani d’Italia, il leader dei popolari-democratici descrive la vera sfida del Pd: lanciare una nuova generazione, perché “il rinnovamento non è la cosmesi della politica di ieri”. Berlusconi e la Seconda repubblica sono al capolinea. Il Pd, invece, è ancorato a tatticismi e false partenze. E allora la domanda nasce spontanea: il Pd può “pensare che il domani, dopo Berlusconi, sia rappresentato da un centrosinistra che invece ha le stesse facce di ieri? O non è forse arrivata l’ora di avere coraggio?”.
Il messaggio è chiaro: non può essere Bersani ad interpretare il dopo Berlusconi né a sconfiggerlo. C’è bisogno di una classe dirigente nuova. L’obiettivo di Fioroni appare nobile e condivisibile: aprire la strada ai Renzi e agli Zingaretti, seppur sottolineando che il Pd deve essere “il primo nel quale donne e uomini che vivono del proprio lavoro poi possano anche dedicarsi alla politica”. Dietro a questa sfida c’è una scommessa che appare paradossale: rafforzare la sua componente, aprendo il passo allarottamazione dei leader più tradizionali (da Veltroni a Bersani, dalla Bindi a D’Alema).
Intanto, le reazioni degli allineati non si fanno attendere. Il neobocciofilo Franceschini esclude qualsiasi ricambio di leadership perché sarebbe una scelta autolesionista (per lui evidentemente). Più diplomatica miss frangetta Serracchiani: ha ragione Fioroni sulla necessità di un rinnovamento ma la questione non è legata all’antiberlusconismo e alla linea politica del Pd. Insomma una botta ai modem e una alla bocciofila a garanzia della prossima candidatura. E Veltroni? L’ex segretario, come sempre, guarda solo a se stesso: appoggia la rappresaglia popolare per poter tornare alla guida del Pd. Ma guai se si parla di ricambio generazionale! La sfida è aperta. Non è escluso che il tema venga affrontato nella direzione nazionale del 28 marzo… ”Se non ora, quando?”…

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