Torna Il Domani d’Italia.
Il foglio di Romolo Murri, profeta della prima Democrazia cristiana, nato nel 1900 per rinnovare la cultura civile e politica dei cattolici, rivive nel 2011 e diventa lo spazio politico e d’opinione dei modem-popolari. Presidente del comitato editoriale, composto da Lucio D’Ubaldo e Giuseppe Sangiorgi, è Beppe Fioroni.
Il magazine si propone come contributo “non più eclettico e disordinato, dei democratici che vogliano e sappiano unire nel loro impegno politico il valore della laicità e il senso dell’ispirazione cristiana (…), pronti al compito di restituire un soffio ideale alla battaglia politica”. Uno spazio per ridare voce ad una serie di sensibilità che sono state tagliate fuori e sono rimaste ai margini dei processi decisionali. Ma anche un avvertimento chiaro alla bocciofila: o si ritorna ad un Pd nello schema originario veltroniano oppure si rischia l’uscita in massa dei moderati.
In realtà sono molti ad avere abbandonato già la nave. Il malcontento tra i popolari è diffuso: la fuga è verso gruppi misti, Terzo polo, liste civiche. Fioroni, per ora, rimane dentro, ma la sua linea politica e la prospettiva sono chiare. Con l’editoriale uscito sul Domani d’Italia, il leader dei popolari-democratici descrive la vera sfida del Pd: lanciare una nuova generazione, perché “il rinnovamento non è la cosmesi della politica di ieri”. Berlusconi e la Seconda repubblica sono al capolinea. Il Pd, invece, è ancorato a tatticismi e false partenze. E allora la domanda nasce spontanea: il Pd può “pensare che il domani, dopo Berlusconi, sia rappresentato da un centrosinistra che invece ha le stesse facce di ieri? O non è forse arrivata l’ora di avere coraggio?”.
Il messaggio è chiaro: non può essere Bersani ad interpretare il dopo Berlusconi né a sconfiggerlo. C’è bisogno di una classe dirigente nuova. L’obiettivo di Fioroni appare nobile e condivisibile: aprire la strada ai Renzi e agli Zingaretti, seppur sottolineando che il Pd deve essere “il primo nel quale donne e uomini che vivono del proprio lavoro poi possano anche dedicarsi alla politica”. Dietro a questa sfida c’è una scommessa che appare paradossale: rafforzare la sua componente, aprendo il passo allarottamazione dei leader più tradizionali (da Veltroni a Bersani, dalla Bindi a D’Alema).
Intanto, le reazioni degli allineati non si fanno attendere. Il neobocciofilo Franceschini esclude qualsiasi ricambio di leadership perché sarebbe una scelta autolesionista (per lui evidentemente). Più diplomatica miss frangetta Serracchiani: ha ragione Fioroni sulla necessità di un rinnovamento ma la questione non è legata all’antiberlusconismo e alla linea politica del Pd. Insomma una botta ai modem e una alla bocciofila a garanzia della prossima candidatura. E Veltroni? L’ex segretario, come sempre, guarda solo a se stesso: appoggia la rappresaglia popolare per poter tornare alla guida del Pd. Ma guai se si parla di ricambio generazionale! La sfida è aperta. Non è escluso che il tema venga affrontato nella direzione nazionale del 28 marzo… ”Se non ora, quando?”…
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